sabato 30 dicembre 2017

Buon presente, buona vita!

Panta rei. Tutto scorre, ci dice Eraclito. Tutto, proprio tutto. E questo lo sappiamo tutti perché proprio tutti lo sperimentiamo ogni giorno nelle corse frenetiche del lavoro, negli affannosi tentativi di fermare il tempo in qualche istante felice, nell’attesa continua di quel qualcuno o di quel  qualcosa che non arriva mai.
Il tempo, come tutto, scorre. Certo. Quasi ovvio. Ma la vera questione non è il suo costante e irrefrenabile cammino ma la sua meta, il suo porto, le sue foci. Dove ci porterà questo tempo? A quale incontro dirige? Verso quale fine orienta? Ogni anniversario, ogni compleanno, ogni capodanno vissuto nel tentativo  di dimenticare questa domanda, inevitabilmente finisce per divenire uno psicodramma disperato, dove si fa finta di essere felici e allegri pur con il vuoto nel cuore. Si lo so, può sembrare la solita pippa esistenziale che  pone il “pesantone” di turno. Ma a pesare è la vita, così com è. E diviene leggera solo quando si risponde con coraggio a domande pesanti, come quelle qui poste. 




Io non so se ho trovato la giusta risposta: mi sento ancora cercatore, esploratore delle risposte vitali, mendicante di semplici certezze. E spesso mi capita, come in questi giorni, di ricevere ciò che mendico non da sapienti cattedre ma da voci - secondo gli uomini - marginali e periferiche, come quelle di Celin e Victor, diciottenni migranti nigeriani,  innamorati follemente e in attesa di incontrare la loro bimba, in arrivo tra poco più di un mese e accolti presso la comunità che dirigo. Ieri eravamo in gita, sui monti dell’alta Lucania. E, dono inaspettato, incontriamo la neve. Cosa mai vista, regalo de cielo. Domando a Celin se è contenta. La sua risposta mi smarca: si, sono contenta, sono davvero felice, è bellissimo, oggi ho chi mi vuol bene, oggi ho una famiglia, oggi ho Dio che mi regala questa neve. 
Cosa ha da essere felice questa giovane ragazza che mette al mondo il proprio figlio tra mille incertezze, nella povertà e nell’incognita burocratica della permanenza in Italia? Cosa ha da essere felice lei che ha visto la morte in faccia? Che ha conosciuto la tortura e il male? Se fossi al posto suo sarei molto più pesante di quanto sono. Ma lei no, con il suo pancione enorme è leggera. Perché? Perché non vive nel passato, non vive nel futuro ma il suo sentire è radicato spontaneamente nell’oggi, nel presente. Gran parte dei nostri problemi sparirebbero se avessimo quest’arte: il tempo di ieri può generare rabbia e malinconia, quello di domani ci offre ansia e timore. L’oggi è l’unica realtà vera, capace di aprire spazi di vita autentica: spazi di amore.  Ecco, qui sta il segreto. Nell’oggi. Il mio Maestro lo ripeteva con forza ai suoi amici: non affannatevi per il domani. È solo quando ci si radica al di fuori di quest’affanno, è solo quando si chiudono le porte in faccia al rimpianto che ha senso festeggiare il tempo. Il resto è parodia disperata della felicità. Ma io e Celin e tanti amici con i quali condivido il cammino  siamo apprendisti della felicità, a noi non è data la possibilità di accontentarci di allegrie distratte e di qualche immagine su istagram con le quali ci vogliamo autoconvincere di essere fighi, belli e felici e santi. Noi siamo assetati di felicitá, siamo innamorati dell’amore. E l’amore ha un solo tempo verbale: il presente. Buon 2018? No, grazie. Buon presente, buon oggi. Buona vita!