giovedì 21 febbraio 2019

Il comun denominatore. Dalla Paranza dei bambini alla Conferenza sugli abusi.

Non sono mai stato bravo in matematica. Fin dalla primina ho ricevuto voti pessimi. Eppure mi è rimasta una passione, quella per il comun denominatore, minimo o multiplo che sia. Così quando mi trovo a riflettere, a leggere, a sentire degli argomenti più svariati spesso gioco a scovare i meccanismi comuni che sono alla base o al culmine di quelle variabili situazionali così apparentemente diverse. 
Negli ultimi giorni tanti input mi sono arrivati. Molti relativi alla conferenza sugli abusi. Altri ai commenti riguardanti Saviano e il film nato dal suo romanzo “La paranza dei bambini”. Cosa accomuna tutti i commenti critici, a volte spietati, in alcuni casi argomentati con una logicità solida e apparentemente inattaccabile ( ovviamente per chi crede che l’essere umano sia fatto solo di logica, ignorando il mondo dinamico che lo abita...)?  Cosa spinge preti, laici, addirittura pomposi cardinali a dire che il problema degli abusi è un falso problema, derivante dall’abbandono della verità (beati loro che la hanno in tasca!) a favore dell’agenda “omosessuale”? 





Cosa c’è alla base di quel tentativo sottile di sminuire, di non fermarsi ad ascoltare un dramma così abissale per ricondurlo invece,  con troppa fretta,   sul tavolo di un confronto dottrinale, che pure servirebbe, per carità!?
Cosa c’è dietro le critiche che a pioggia investono Gomorra, le serie, e non in ultimo questo film così premiato a Berlino? Certamente è vero che c’è un forte rischio di emulazione e imitazione della violenza... la bambola banduriana Bobo insegna! Ma è pur vero che vedo molti ragazzi di Nisida come della mia comunità, imitare caratteristiche di modelli apparentemente sani, offerti da social e tv,  ma che in realtà celano dinamiche educative  e messaggi insidiosi almeno quanto Genny Savastano e Ciro l’Immortale! Allora perché sindaci, giornalisti, amministratori si scagliano contro chi fa vedere una realtà così cruda quanto vera in nome di un’immagine diversa che dovrebbe essere data alla città? Certo, non si può fare di tutta un’era un fascio. Credo che questo non lo voglia Saviano, che fa il suo mestiere e neanche il Papa, che pure ci prova, magari interpretando il ruolo in modo inedito. Ma perché non mettere a tema gli abusi, perché criticare ideologicamente La Paranza dei bambini? Perché, almeno questa è la risposta che per oggi ho trovato, ogni persona e comunità umana è attratta da un bisogno profondo di negazione, da un tentativo angoscioso di rimozione, dal desiderio inconsapevole di minimizzare il male e la sua assurdità, magari per non trovarsi intrappolati in un’assunzione di responsabilità individuale e sociale che dovrebbe mettere sul banco degli imputati molte coscienze. Iniziando dalla propria. 

domenica 17 febbraio 2019

Mosè, vieni, avvicinati.


Dio lo chiamò dal roveto e disse: «Mosè, Mosè!». Rispose: «Eccomi!». Riprese: «Non avvicinarti! Togliti i sandali dai piedi, perché il luogo sul quale tu stai è una terra santa!». E disse: «Io sono il Dio di tuo padre, il Dio di Abramo, il Dio di Isacco, il Dio di Giacobbe». Mosè allora si velò il viso, perché aveva paura di guardare verso Dio. (Esodo 3, 4-6)


Mosè, vieni, avvicinati.

Togliti i calzari dai piedi

affinché tu possa sentire il calore della terra

che ti ho donato come madre e sorella.

Mosè non avere paura.

Io non sono il Dio dei grandi,

dei potenti,

dei personaggi epici cantati dai popoli.

No Mosè,

Vieni pure, senza timore alcuno,

perché oltre il deserto delle certezze granitiche

hai trovato il monte lieve

dove brucia il mio amore

che non consuma,

che non spaventa,

che non respinge,

che non distrugge.

Hai trovato il mio amore di padre,

hai trovato la mia tenerezza di madre.

Mi domandi chi sono...

Io non ho nome,

sono, e basta.

E quando qualcuno incline alle presentazioni

con insistenza mi chiede un documento,

io non so rispondere con un nome e cognome

ma con una sola parola: Amore.

Si Mosè, io non sono l'Onnipotente,

Il Giudice implacabile, il Vendicatore terribile,

no, queste sono parti di voi che credete essere me.

Piccolo Mosè io sono solo l'Amore.

Si, l'Amore di Abramo, di Isacco, di Giacobbe.

Ma anche di altri, di mille e mille,

di tutti i miei figli e di tutte le mie figlie.

Io sono l'Amore che ha sostenuto Francesco,

che non ha mai conosciuto i suoi genitori e non sa quanto sia preziosa la sua vita.

Sono l'Amore che ogni giorno parla a Debora, che non riesce a volersi bene a causa di tante ferite e che trova solo nella mia voce sconosciuta un motivo per andare avanti.

Sono l'Amore che accompagna Mirco e Rossella, che con dolore e coraggio aspettano un bimbo che non camminerà mai.

Sono l'Amore che prende per mano Gianluca, giovane che si crede sbagliato e che mette mille maschere solo perché si è innamorato di un ragazzo come lui e ha timore di vivere un amore sano, vero, autentico.

Sono l'Amore che culla le notti insonni di Shadat, piccolo bengalese che ha visto inghiottire dal mare i suoi compagni di viaggio.

Sono l'Amore di Pino, che ha sorriso fino alla fine per amore di una giustizia che non arrivava.

Sono l'Amore che da forza a Alessandro,

tentato di voler buttare il suo servizio all'aria per un senso soffocante di solitudine.

Sono l'Amore che canta antiche melodie a Luisa, anziana nonnina abbandonata da tutti ma non dal sorriso.

Sono l'Amore di Paola, che nonostante i dolori e le ferite dell’anima ha donato sempre aiuto concreto a tanti.

Sono l'Amore che piange con la mamma di Joao, bimbo africano con una pancia grande, piena di aria e vuota di cibo.

Sono l'Amore che spinge a non demordere i giovani, a cui adulti mai cresciuti hanno rubato il futuro e il presente.

Sono l'Amore che cammina con Pio, che troppo piccolo ha perso la mamma e che ho imparato a cullare attraverso gli sguardi premurosi di educatori amorevoli. 

Mosè, Io sono. Sono e basta.

Sono l'Amore che viaggia con i piccoli e i poveri di questa terra,

che cammina con chi ha il coraggio di fidarsi e di imparare a guardare oltre,

che nutre i desideri e i sogni dei giovani,

che canta le speranze e le grida dei bimbi,

che non conosce limiti e confini,

che vola sopra i muri e le barriere,

per donare a tutti l'acqua della vita,

una vita talmente piena di me che sono amore da non temere nulla,

neanche la morte.

E allora vieni qui Mosè,

non temere sei non ami le liturgie dei grandi,

se non comprendi le leggi dei potenti,

se poco hai capito della complessità del mondo,

e se ti sei stufato di sentir parlare di me come si parla di un libro già conosciuto.

Ti chiedo solo di venire qui e di lasciarti amare.

Ogni giorno sento la sofferenza e il dolore dei miei figli.

Vieni con me, ti prego.

Sono così debole che da solo non posso.

Ho bisogno di te.

Portami a loro.

Non con mille parole

ma con un solo sguardo.

Uno sguardo di luce,

Uno sguardo d'Amore.