lunedì 29 maggio 2017

Amore, in circolo.

Tu, Cristo, amore sorgivo, non ci hai chiesto solo di spezzarci e donarci come pane per sfamare gli altri. Non ci vuoi capaci solo di dono. Ci chiedi anche l'arte dell'accoglienza, per nutrirci di chi, spesso senza saperlo, in nome tuo, si dona a noi. Non ci hai comandato di amare gli altri, e basta, ma di amarci "gli uni gli altri", in una melodia di reciprocità, la sola capace di generare musiche felici. 


 

venerdì 26 maggio 2017

Eternamente presente. Ascensione: libere riflessioni sul significato.

"Perchè state a guardare il cielo?". Una domanda irriverente, quasi beffarda, quella che Luca pone sulle labbra dei due uomini in veste bianca. Domande che nel suo Vangelo tornano: "Perchè cercate tra i morti colui che è vivo?".  Sembra che l'ovvietà non debba essere la caratteristica dei discepoli. Si, perchè è ovvio e spontaneo guardare il cielo mentre il Maestro sale tra le nubi, è ovvio e spontaneo restare a bocca aperta e fissare increduli un evento che lascia esterrefatti, è ovvia e spontanea la reazione di chi cerca la presenza di un cadavere nel luogo in cui in genere si trova, la tomba. 
Eppure l'evangelista ci chiede di assumere atteggiamenti non scontati: Gesù non lo si cerca tra i morti, in un al di là celebrato da una tomba sepolcrale; Gesù non lo si aspetta come un dono preconfezionato pronto a scendere dal cielo ogni volta che lo si invoca; Gesù non si trova lontano dalle fatiche quotidiane degli uomini, dai loro travagli inquieti, lontano dalle gioie e dai dolori che compongono la gamma estesa del sentire umano. 
Gesù è vivo e si cerca tra i vivi, sulla loro terra, non in cieli lontani. 
La Resurrezione ci dice che lui è presente, sempre, impossibilitato dall'amore a risultare assente. 
L'Ascensione ci dice non solo che è presente ma che il suo essere assume, attraverso la creatività dello Spirito, una forma nuova, spirituale, per la quale è impossibilitato dall'amore a distaccarsi da ogni creatura. Eternamente vivo. Eternamente accanto.


 

Presente nelle storie di difficoltà e disagio. Presente a Roma come nel cuore di Forcella. Presente nelle lacrime di un bimbo. Presente nello stupore di un anziano. Presente in una storia d'amore d'altri tempi. Presente in un matrimonio ricostruito su precendenti fallimenti. Presente nella voglia di vivere di un'amica che combatte contro un cancro. Presente nell'inquietudine di un credente che non si accontenta di una chiesa clericale. Presente, sempre e comunque tra le vicende della nostra vita personale e nelle pieghe della storia umana. Ignazio di Loyola lo diceva: cercarlo e trovarlo in tutte le cose.   E in questa eterna presenza accanto all'uomo cosa dice, cosa fa? Afferma il grande artista, missionario, medico, Albert Schweitzer: "Egli viene a noi come uno sconosciuto, senza nome, come venne allora, sulle sponde del lago, verso quegli uomini che non lo conoscevano. Dice la stessa parola - Seguimi - e ci indica le opere che vuole compiere nella nostra epoca. Ci comanda e, a quei savi o semplici che gli ubbidiranno, si farà conoscere nei compiti, nei contrasti, nelle sofferenze che dovranno sopportare in sua compagnia e, come per mistero ineffabile dalla propria esperienza apprenderanno chi è lui".
 

venerdì 19 maggio 2017

La fatica dei mattoni e la manifestazione del Risorto: libere riflessioni su Gv 14,15-21

"Chi ama me anche io lo amerò e mi manifesterò a lui" ma in cosa consiste amarlo? Nell'osservare i suoi comandamenti. Non qualche comandamento in generale, ma i suoi. Non un codice preesistente ma i comandamenti che Gesù ha donato, con le sue parole, con la sua vita. 
Nel Vangelo di Giovanni sono principalmente due: amatevi gli uni gli altri, lavatevi i piedi gli uni gli altri. Queste condizioni di apertura del cuore, di disponibilità ad accogliere l'altro e lasciarsi accogliere da lui, questa volontà generosa di "farsi schiavo" del bene altrui diviene la condizione necessaria per ricevere la manifestazione del Risorto. 

 

Credo che una pecca della tradizione religiosa a cui appartengo, sia quella di aver ridotto un mistero di amore ad un insieme di codici dottrinali, elevando l'adesione intellettuale a delle verità stabilite ad assoluto e separando la verità dall'amore. 
Ieri ad un incontro di preti me ne accorgevo: si parlava di divorziati risposati, di situazioni di fragilità e altro ancora. Eppure l'atteggiamento di fondo (non è colpa nostra, sono secoli di sedimentazione) è quello di chi deve giudicare chi ha ragione, chi è degno, di chi deve essere arbitro della grazia, quasi come se il Signore per donare l'amore di cui è fatto avesse bisogno del nostro placet, e attendesse magari che venissero prima risolti i "dubia" di qualche porporato amante del carnevale.   
Il fatto è che per conoscere il Risorto devi fare esperienza di un amore che libera, guarisce, che allarga gli orizzonti, che dona e perdona, senza la pretesa di condanne senza appello, sempre pronto ad indicare che alcune strade che portano alla morte ma con l'atteggiamento amante e disarmato di chi lo fa per condurre alla vita, di chi anche dietro un apparente no sa mostrare il grande si di Dio all'uomo, ai suoi bisogni di salvezza, ai suoi desideri di amare ed essere amato.
Per grazia di Dio non siamo orfani: lo Spirito della verità (al singolare, si noti) rimane in noi, dentro il nostro cuore, per spingerci a non arrenderci, a non smettere di cercare, per invitarci attraverso inedite creatività a costruire nuove case con mattoni impostati di pace e di giustizia, di tenerezza e di accoglienza. 
Se vuoi conoscere il Risorto non devi temere la fatica che questi mattoni donano a chi vuol lavorare alla causa del Regno: tanto prima o poi si scopre che ne valeva la pena di spendersi e donarsi perché sotto la superficie ruvida del materiale da costruzione vi è un terreno dolce, che custodisce il  seme di una vita nuova, bella, piena, eterna. La vita che il Risorto, a piene mani, ci ha donato.

domenica 14 maggio 2017

Una fiducia incrollabile, il Dio di Gesù. Libere riflessioni su Gv 14, 1-12z

Chi ha visto me ha visto il Padre. E' una frase rivoluzionaria. Che mette paura. Gesù ci sta dicendo con una chiarezza estrema che per capire cosa Dio pensa, vuole, desidera, occorre guardare a ciò che pensa, vuole, desidera Gesù. Per comprendere come Dio agisce occorre guardare a come ha agito Gesù. Tutto questo, in ogni tempo, ha messo paura perché in qualche modo ha sottratto i discepoli alle credenze religiose fondate su un sistema rassicurante di potere, culto e riti per restituirli all'essenziale: una fiducia incrollabile in un Dio che è amore, che pone come fondamento di tutto l'amore reciproco e il perdono incondizionato, che insegna che la strada della non violenza e del dono gratuito può portare alle estreme conseguenze e passare perfino dalla morte, trasformata dall'amore in un porta dolce spalancata su una vita nuova, la resurrezione. 
Questo il messaggio di Gesù di Nazareth. Questo ciò che il Padre è, pensa, vuole, agisce. Un messaggio profondo che lo Spirito continua a proporre dentro e fuori dal tempio, per le strade dei poveri e attraverso l'inquietudine di chi ricerca, tramite l'onestà intellettuale di chi scruta la Parola e i segni dei tempi e con l'aiuto di coloro che non si allineano e non si accontentano di seguire sterili dottrine. 

Papa Francesco sembra, pur attraverso momenti (forse inevitabili) di confusione comunicativa, voler ricondurre i discepoli del Maestro di Nazareth a questo fondamento cristiano, superando teologie che nel corso dei secoli sono arrivate a presentare un Dio orribile, violento e vendicativo, caratterizzato da un potere minaccioso e distruttivo, e pertanto bisognoso di essere addolcito e mitigato dalla figura di Maria. L'altro ieri a  Fatima Francesco ha detto:  Quale Maria? Una Maestra di vita spirituale, la prima che ha seguito Cristo lungo la “via stretta” della croce donandoci l’esempio, o invece una Signora “irraggiungibile” e quindi inimitabile? La “Benedetta per avere creduto” sempre e in ogni circostanza alle parole divine (cfr Lc 1,42.45), o invece una “Santina” alla quale si ricorre per ricevere dei favori a basso costo? La Vergine Maria del Vangelo, venerata dalla Chiesa orante, o invece una Maria abbozzata da sensibilità soggettive che La vedono tener fermo il braccio giustiziere di Dio pronto a punire: una Maria migliore del Cristo, visto come Giudice spietato; più misericordiosa dell’Agnello immolato per noi?

Il punto è proprio qui. 
Il Cristo non è un giudice spietato ma la via da seguire, intrecciando il proprio sentiero al suo fino ad arrivare, grazie alla sua presenza dentro il cuore di chi lo accoglie, a scoprire nuovi sentieri, con fedeltà creativa: lui ce l'ha detto, "farete cose più grandi di me". 
Il Cristo non è uno dal quale si ottengono, mediante processioni e rosari,  e la raccomandazione di qualche buon santo, favori a basso costo ma è piuttosto la vita da accogliere e da comunicare, una vita fatta di rischio, dinamicamente chiamata a mettersi in gioco per vivere l'avventura di un amore che ci restituisce al Padre e ai fratelli. 
Il Cristo non è il braccio michelangiolesco pronto a scagliare saette e fulmini sugli uomini, i quali, come la storia dimostra, per farsi del male e punirsi stupidamente  non hanno affatto bisogno di Dio ma è piuttosto la verità, che va accolta nella sua potenza scandalosa e nella sua bellezza attraente, verità che non significa insieme di dottrine ma piuttosto compendio di ciò che è l'origine e il fine dell'universo, di ciò che è essenziale per vivere e morire con fiducia: l'amore. 

In nome di questo Dio nessuno si può condannare, nessuno si può escludere, nessuno si può ghettizzare. Ma soprattutto nel nome di questo Dio, che Gesù con la sua vita di laico marginale ci ha mostrato, non si può comandare, né la coscienza né il portafogli. 
In nome di questo Dio si può solo amare.

sabato 13 maggio 2017

Amore che fa crescere, la vera festa!

Festa della mamma. Festa de papà. Festa dei nonni. Festa degli innamorati. Festa degli amici. E mai mancheranno feste per celebrare quella figura, quel tipo di amore, nel tentativo sociale di divinizzarlo, eliminando dal mito collettivo le ambiguità di cui l'amore, qualsiasi forma prenda, è sempre portatore. 

Nessuno pensi che attraverso queste parole si cerchi di distruggere o denotrizzare amori importanti, come quello materno o paterno, come quello di un partner o di un amico. Amori belli e essenziali per vivere. 

Ciò che qui si vuol dire è che il cuore colmo di gratitudine per tutto ciò che una relazione fondamentale della vita ha donato non deve far perdere di vista i mille rischi che un amore porta con sè, quando non accetta il mettersi in discussione, quando crede di essere il metro di ciò che è giusto, quando è mosso semplicemente da un proprio (spesso inconsapevole) bisogno piuttosto che da un sano e dinamico desiderio. 

Amare per bisogno significa rispondere ad un'esigenza che nasce da corpo e investe la relazione: parta sempre da qualcosa che manca a me e di cui sento necessità. Ad esempio: bisogno di  un abbraccio, bisogno sessuale, bisogno di colmare un vuoto affettivo. E i bisogni sono sacrosanti, sia chiaro: vanno trattati con delicatezza, e in modo sano occorre soddisfarli o prendersene cura quando "chiedono" ciò che fa male. 
Amare per desiderio vuol dire, invece, non guardare semplicemente al proprio vuoto interno ma dirigere lo sguardo oltre, fuori di sè, per costruire progetti, per muoversi verso un bene profondo e inclusivo, per disegnare, sovente attraverso la fatica, mappe valide per avvicinarsi il più possibile alla felicità che è tale quando non è solo mia ma include l'altro.
Credo che l'amore sano, quello che fa crescere, quello che guarisce e mette in moto la vita, è proprio di coloro che sanno accogliere i bisogni, propri e altrui, gestirli con discrezione  e lasciarsi muovere dal desiderio profondo, superando il meccanismo che fa dell'input un assoluto e accettando di giocarsi  la sfida dell'output. 

Quando c'è solo una dinamica di ingresso, quando anche l'amore che esce è un'altra forma che sbrana e divora, seppur vestita di dolcezza o sensualità, di religiosità o di mitologia, allora siamo in presenza di un'ambivalenza terribile. Causa non più di crescita e di vita ma di angoscia e di blocchi. 

In ultimo un consiglio non chiesto ( il Faber direbbe che è ciò che si dona quando si è esaurito il cattivo esempio): nessun amore è perfetto, ognuno di noi ha qualcosa da donare e qualcosa da farsi perdonare, ognuno di noi è mosso da desideri di vita accompagnati spesso da movimenti di morte, ognuno di noi fa l'esperienza di voler amare e essere amato e spesso si rende conto che invece di farlo divora o viene divorato, o, peggio ancora, ignora e viene ignorato. Allora come muoversi nel circolo di amore che in ogni caso è questa vita ?  
 
Occorre camminare evitando la distinzione in buoni e cattivi, in giusti e sbagliati e accettando che l'unica vera differenza che contraddistingue gli umani è tra chi accetta di mettersi in discussione lavorando su di sè e coloro che invece si credono più assoluti e infallibili di un dogma papale. 
Di questi ultimi amori, a qualsiasi categoria appartengano, abbiate sempre timore perché sono quelli che investono e non trattano, urtano e non negoziano, creano cloni di morte e non differenze di vita. E nel loro circolo si può restare sani solo se si conserva o si acquisisce un minimo di criticità.
Quando invece incontrate coloro che hanno capito di non essere Dio, coloro che accettano che l'aratro del cuore è il miglior strumento per crescere e far crescere, accogliendo l'auto discussione e il confronto come criterio fondante del vivere, quando incontrerà coloro che escono dalla logica dei mille bisogni inconsapevoli per imparare l'arte fragile del desiderio: beh, insieme a costoro potete costruire qualcosa di bello, di duraturo e di prezioso. È queste persone che vorrei si festeggiassero perché è grazie a loro che questa società  mantiene, pur nelle difficoltà, un livello di accoglienza capace di consentire la vita. E allora, se si tratta di loro, che sia festa della mamma, del papà e degli innamorati, degli amici e dei nonni. Ma senza di loro è bene che ce lo diciamo: non c è nulla da festeggiare! 

sabato 6 maggio 2017

Condotti fuori da recinto. Per accogliere e donare vita. Libere riflessioni su Gv 10, 1-10

"Sono venuto perché abbiano la vita e l'abbiano in abbondanza". Uno scopo preciso. Una dichiarazione di intenti. Un obiettivo concreto. Generare, donare, creare vita. Non una vita a morsi, rubacchiata qua e là attraverso qualche esperienza sbalorditiva o una mistica pratica ascetica. La vita che vuole donarci il Maestro è una vita abbondante, piena, libera, potente. Una vita che non va conquistata ma accolta, se possibile con tutte e due le mani, tanto grande è la sua abbondanza. 

Gesù di Nazareth stupendoci continuamente, oltre a mostrare una grande fiducia nel progetto di amore del Padre, manifesta una fede immensa nella capacità dell'uomo di accogliere la vita, di entrare in una logica di abbondanza, dove ciò che possiedi è talmente tanto che non puoi permetterti il lusso di non condividerlo. Il dono di una vita abbondante spinge inevitabilmente colui che lo riceve a donare a sua volta vita a chi lo circonda, come un bicchiere straripante d'acqua,  che non può con le sue gocce non bagnare tavolo e tovaglia. Così la logica del Maestro laddove viene accolta, attraverso un circolo di vita continuo e gratuito, costruisce pian piano, in una storia spesso fatta di "ladri che rubano, uccidono, distruggono", un regno di solidarietà e di amore, di giustizia e di pace: il Regno di Dio. In questo regno il pastore è uno solo: colui che dona la vita, restando fedele al messaggio di amore del Padre, testimoniando un disegno creatore che mette al centro il servizio e non il potere, la mitezza e non la violenza, l'accoglienza delle fragilità e non il giudizio ipocrita. 






La voce del Pastore errante risuona nel cuore di coloro che decidono di seguirlo: stranamente non li pone in luoghi sicuri, in recinti protetti o spazi sacri. Ma li conduce fuori, laddove la vita nasce, cresce, fruttifica, non di rado tra fatica e difficoltà.

Il Pastore conduce fuori i suoi per nutrirli e per nutrire, per amarli e insegnar loro ad amare tutti. Senza distinzione. Perché tutti hanno bisogno di amore e di vita. Tutti hanno bisogno di un pascolo di vita fresca e di una carezza dolce da ricevere e donare. 

Diffidate di tutti coloro che in nome di un Dio dai tratti poco evangelici, spesso per brama di potere o peggio per proprie derive nevrotiche,  chiedono soltanto rinunce e mortificazioni, atteggiamenti rigidi e pietistiche ipocrisie: la voce del Pastore ha il suono di una cascata d'acqua fresca, di un filo di erba verde, di una storia d'amore che genera vita.