sabato 6 ottobre 2018

CHIESA, uno dei sintomi della tua malattia è il MASCHILISMO MISOGINO, che ha anestetizzato il sogno del Maestro!



L’evoluzione dell’universo nato dall’Amore sorgivo,  creatore di tutte le cose, visibili e invisibili, richiede, reclama, racconta l’uguaglianza nei diritti e doveri tra l’uomo e la donna (cfr Mt 10, 2-12). Un’uguaglianza che fugge il pericolo dell’omologazione o della subordinazione per rendere il percorso della comunità umana una sinfonia a due mani, in cui i tratti peculiari di ciascuno arricchiscano di equilibrio, sapienza, armonia il percorso di tutti a tutti i livelli. Siamo ancora molto lontani dal realizzare quest’equilibrio, dal valorizzare l’integrazione sana del maschile e del femminile. È questo vale tanto più nella chiesa, dove le donne spesso vengono viste e trattate come forza lavoro, come tappabuchi, come esecutrici e consigliere di un potere che resta sempre e comunque maschile. Ed è sotto gli occhi di tutti dove questo potere maschilista e patriarcale sta conducendo la comunità cristiana cattolica che priva di uno sguardo femminile è incapace di vedere e sognare nuove vie, di attingere al materno divino, di comprendere la potenza di nuove possibilità, di generare nuovi stili decisionali che tengano conto prima di ogni cosa del bene dei figli e non della preservazione del potere. 

Basta pensare alla realtà odierna, a mio avviso caduca e  malata, del seminario, dove  l’assenza della donna produce la difficoltà tutta clericale a vivere l’integrazione sana del maschile e del femminile presente in ogni umano, rafforzando sovente e inconsapevolmente comportamenti da  donnicciole pettegole e da eterni bambini, magari innamorati di una sottana nera, spesso incapaci di paternità e non di rado irrisolti e nell’identità affettiva e sessuale. 





Quando sono entrato in seminario intendevo la chiesa come Madre e Dio come padre. Oggi percepisco la realtà ecclesiale, governata dalla gerarchia maschile, come un padre testardo, invecchiato e logorato, misogino e ambiguo, timoroso di perdere privilegi e poteri e Dio, come una Madre tenera ad oltranza, come un Donna generativa che priva di ogni attaccamento al potere vorrebbe solo rendere i propri figli capaci di volare e di vivere quell’amore redentivo e creativo di cui sono immagine e somiglianza.

domenica 16 settembre 2018

Distanza



Mi separano da te 
secoli di discussioni,
strade di mille parole,
innumerevoli dipinti affrescati
con le tinte di chi presumeva 
di saper tutto di te.
Oggi dietro questa coltre alfabetica, 
oltre la nebbia delle certezze granitiche,
intravedo il tuo volto.
Per qualcuno il tuo posto è tra i miti 
ma i miti non sono cose brutte
e sono più veri 
di ciò che si tocca,
di ciò che si vede.
E tra i racconti presenti e passati
mai vi fu uno così carico di vita,
da oltrepassare i binari della storia 
per lasciarsi portare dal vento,
per penetrare dall’orecchio nel cuore,
per generare 
in chi lo accoglie indifeso,
l’amore inclusivo,
eterno e accogliente,
casa per tutti,
segreto di pace, 
sorgente di vita.

martedì 21 agosto 2018

Riflessioni a margine della Lettera al Popolo di Dio di Papa Francesco

Quando c'è un problema in una comunità vasta o in una grande organizzazione, qualsiasi sia il suo scopo e il suo statuto fondativo,  per risolverlo realmente occorrono due passi: eliminare le cause del problema presente è il primo, il secondo è fare in modo che il "sistema" della comunità si evolva per evitare il ripresentarsi in futuro del problema. La lettera di Papa Francesco al popolo di Dio sulla tragedia della pedofilia nel clero ha messo per la prima volta in evidenza una correlazione tra clericalismo e abuso: "Dire no all’abuso significa dire con forza no a qualsiasi forma di clericalismo". Il Papa non è particolarmente originale: chiunque lavora nel campo dell'abuso, e non solo sui minori, sa benissimo che per potersi realizzare, dalle mura domestiche a quelle scolastiche o conventuali, l'abuso richiede sempre un esercizio malato dell'autorità, un contesto in cui il potere, fosse pure quello di un membro della famiglia, viene sacralizzato e reso intoccabile, fino ad arrivare a far si che gli astanti (vittime o complici che siano) girino gli occhi dall'altra parte pur di non denunciare e di non ammettere la mostruosità di quanto accade. Papa Francesco è stato però assolutamente coraggioso nel porre in evidenza tale correlazione in quanto denuncia una situazione che nel corso dei secoli nella Chiesa Cattolica romana si è sempre più consolidata: una casta di uomini celibi al potere corrotta dall'esercizio del medesimo. Niente di nuovo certamente per chi è esperto e conosce la storia di diverse religioni accomunate da situazioni di questo tipo, ma nello stesso tempo niente di più estraneo alla logica originaria e dinamica del Vangelo di Gesù di Nazareth. Il Cardinale Stella, Prefetto della Congregazione per il Clero, il dicastero che sovrintende all'organizzazione, alla vita e alla formazione del clero cattolico, descrive in questo modo il clericalismo: << “Clericalismo” è una parola divenuta molto presente sulla bocca del Papa, in questi mesi. Credo di poter interpretare bene la mente del Santo Padre se affermo che “clericale” è il prete che vuole comandare, che dà ordini, che sa sempre tutto, chiudendosi in se stesso e non permettendo che altri collaborino nella missione della Chiesa. Clericale è il prete chiuso in se stesso, nei propri orizzonti, che non consulta, che non dà spazio agli altri, soprattutto ai laici, non riconoscendo il suo ruolo fondamentale nella missione della Chiesa. Talvolta, un simile prete ritiene di poter dominare, soprattutto i poveri e gli ignoranti, e di appartenere in qualche misura ad una casta, attribuendosi privilegi e poteri. Il “clericalismo” fa male ai preti, perché genera una distorsione della loro missione, e fa male ai laici, perché impedisce la loro crescita come cristiani adulti. Questa parola, “clericalismo”, invita noi preti, ogni giorno, a fare un forte esame di coscienza, perché non ci capiti di dimenticare che l’essere chierici è per noi la condizione per una più efficace testimonianza e dedizione alla nostra vocazione, e mai uno status che ci separa dalla gente, ci rende distanti e magari ci fa sentire un gradino più in alto >>. 








Ha ragione il Cardinale Stella nella sua definizione, come ha assolutamente ragione il Papa nella sua lettera ma all'inizio ho affermato che per risolvere un problema realmente occorrono due passi: eliminare le cause del problema presente, fare in modo che il "sistema" della comunità si evolva per evitare il ripresentarsi in futuro del problema stesso. Lavorare sulle dinamiche spirituali e umane, sui fattori formativi e sulla conversione che nasce dalla preghiera può essere qualcosa di molto valido ed efficace per sradicare il problema rappresentato da alcuni "attori" che interpretano oggi la tragedia dell'abuso clericale ma certamente non basta ad evitare che il dramma vada in scena domani. Occorre appunto far in modo che il "sistema" consenta a se stesso una crescita, un'evoluzione, un cambiamento anche nell'autoconsapevolezza del proprio essere e della propria missione. E' necessario che la comunità ecclesiale, che quel Popolo di Dio a cui il Papa si rivolge sappia comprendersi meglio e divenire consapevole che alcune idee, seppur dogmatizzate nel catechismo o nella teologia sacramentaria, appartengono alla struttura che nel corso degli anni il potere religioso si è dato per conservare se stesso, allontanandosi dal volere originante del suo Signore. Di per sé chiunque ha un ruolo educativo, di guida, asimmetrico si trova in una situazione sensibilissima e da cui è facile abusare degli altri, in tutti i sensi. Ma quando questo "gradino più alto" è sacralizzato, a volte perfino divinizzato, da norme, idee, teologie, questo potere diviene di per sé altamente pericoloso, autoreferenziale e in se stesso abusante. Penso a tante situazioni che anche qui nel napoletano si sono verificate, tra esorcisti di grido, per i quali, benché vengano demonizzate (fanno il loro mestiere cercando audience), sono dovute intervenire le "Iene", che hanno ovviamente battuto sul tempo la lentezza elefantesca del sistema ecclesiale, così spaventato dallo scandalo piuttosto che dall'orrore di ciò che avviene. Io stesso, recandomi in un noto santuario napoletano, per parlare di una situazione molto difficile e di per sé malata di cui ero certo e  che riguardava delle consacrate straniere presenti in esso, mi sono sentito rispondere dai frati, compreso il Priore, che "loro fanno la loro vita, quello che succede oltre la loro porta non ci interessa, ci cucinano e basta": per la serie "basta che ci servono", "di accertarci della verità e dell'onesta, nonché della presenza di vittime di un sistema malato, non è cosa nostra"... "basta che lo stomaco resta bello pieno". Ecco il clericalismo. Prodotto maschile del potere sacrale, esteso a quelle donne che ne divengono complici ma sempre ad un gradino sotto agli uomini. Ecco il clericalismo, da cui nasce il volgersi dall'altra parte, il far finta di nulla, il pagare il silenzio, l'evitare lo scandalo, il salvare il prete e l'immagine della Chiesa a tutti i costi, anche a quello di sacrificare una comunità intera. Per carità per la persona che ha sbagliato, qualsiasi sia il suo errore, sempre misericordia e accoglienza, ma non omertà e soprattutto mai complicità . Ecco il clericalismo, la cui salsa nostrana è particolare: puoi anche non far nulla dalla mattina alla sera ma lo stipendio sul conto ti arriva ugualmente. Esiste un potere più comodo di questo? Immagino qualcuno pensi alla politica o ad altri ruoli ma ciò non rende il mal comune mezzo gaudio. Ecco il clericalismo: puoi consultare tutto il Consiglio Pastorale ma poi fare l'esatto opposto perchè sei il Parroco. Ecco il clericalismo: puoi decidere di utilizzare tutte le offerte per restaurare pianete e comprare casule e nessuno ti  potrà dire niente, perché sei il Parroco e ....guai a pensare che ti occupi solo di coscienze e anime, no anche del loro portafogli e in modo insindacabile. E l'elenco potrebbe continuare all'inverosimile. Ciò che occorre mutare è l'ecclesiologia, la dottrina, la teologia e le norme che consentono tutto questo: non esistono mutamenti reali e duraturi nella prassi che non siano preceduti o seguiti da altrettanti cambiamenti nella teoria. Ecco Papa Francesco ha fatto il primo passo. Ora occorrono i successivi. E certamente non li potrà fare da solo. Se questi passi non verranno si perderà totalmente la credibilità dei presbiteri cattolici e ad essere attratti da questo ruolo saranno sempre più giovani non del tutto sani, con difficoltà affettive e relazionali, non di rado ben celate che cercano nell'identità clericale quella forza e quel valore che credono di non avere senza "abiti" e "croci pettorali". Ma soprattutto se il cammino non proseguirà si getterà a mare anche il lavoro di tanti presbiteri che nel silenzio della loro parrocchia o delle loro opere vivono senza lasciarsi minimamente toccare dal virus clericale, realizzando la logica evangelica indipendentemente da tutto e da tutti. Anche questi preti, questi parroci, che io credo essere la maggioranza, hanno diritto a quest'evoluzione, a questa crescita, a questo cambiamento. Affinché la lampada del loro ministero non venga messa sotto il moggio dal potere clericale. 


mercoledì 18 luglio 2018

Sguardi marziani


Occorre recuperare uno sguardo adulto, capace di osservare la realtà senza  contaminazioni di paure infantili e di pregiudizi ideologici antichi. Occorre attingere nuovamente ai significati attuali di un universo in perenne evoluzione, in continuo movimento, il cui criterio è la dinamicità. I cambiamenti sono il paradigma psichico, spirituale, biologico e fisico su cui poggia l’universo e noi siamo ancora qui, a cercare di governare l’ingoverbabile, a tentare di arginare le conseguenze di logiche illogiche. Ad esempio. Il sud del mondo va sfruttato ma le sue conseguenze non devono sfiorare noi del nord. Quale logica sostiene tutto questo? Una logica illogica, lontana dalla consapevolezza dell’interconnessione che lega i popoli e gli uomini tra loro, cieca rispetto agli effetti di causalità iscritti in ogni sistema, per il quale un “il battito d’ali di una farfalla in un punto del pianeta può generare un uragano al punto opposto” (detto non propriamente esatto ma che rende l’idea).  Occorrerebbe una sorta di supervisione esterna. Occorrerebbe guardare ai nostri problemi, penso a quello dei migranti, con uno sguardo ampio, distaccato, neutro, uno sguardo “marziano”.  Per scoprire che oltre a correre il rischio di perdere i valori più alti dell’umano stiamo agendo come persone che ne perdono anche le caratteristiche evolutive più rilevanti: la coscienza, l’intelligenza, la creatività adattiva. Siamo poi così sicuri che la denominazione  “sapiens sapiens” che ci siamo attribuiti sia una conquista per sempre, senza possibilità di regressione? Io no, non ne sono sicuro. 

martedì 17 luglio 2018

L’evoluzione dell’umano

“L’evoluzione dell’umano si fonda sulla consapevolezza del limite e sulla grande visione. Nessun cammino, nessuna riforma, nessun movimento vitale si realizza nella miopia del piccolo orto, nell’iperdettagliamento dello sguardo, nell’arroccarsi nella propria piccola fortezza facendola divenire il centro del mondo. In ogni ambito, dalla religione alla politica, dall’economia alla psicologia occorrono visionari, donne e uomini dallo sguardo ampio e penetrante, persone afferrate dall’inquietudine dell’oltre, capaci di non prendersi troppo sul serio divinizzando se stessi, disposti all’incomprensione e alla derisione per aver avuto il coraggio di dire ciò che è sotto gli occhi di tutti ma che nessuno vuol vedere. In altre parole, come in ogni tempo umano, anche in questo tempo le tracce del futuro si devono cercare nel più inquieto dei luoghi, negli occhi insonni dei profeti, nelle parole che spalancano nuovi spazi di vita e di speranza.”





venerdì 23 marzo 2018

Mendicanti di sguardi. Un aperitivo, gente che corre e il bisogno primario di essere visti.

Seduto ad un bar della stazione Termini, in attesa di un treno, pronto per tornare a casa. Penso agli incontri di oggi: ho tenuto un corso di formazione per docenti. Tematiche complesse, scottanti, a volte sanguinanti: disagio infantile, sofferenza familiare, deprivazione socio-culturale, storie di abusi e maltrattamenti, di povertà e violenza. Mi frullano ancora in mente le richieste di aiuto, le riflessioni sulle storie difficili di molti bambini, la denuncia di un sistema sociale che produce situazioni malate. E le loro parole di uomini e donne in trincea - la scuola assomiglia sempre di più ad un campo di battaglia- si confondono con le immagini frenetiche che i miei occhi consumano insieme ad un aperitivo analcolico. Una porzione di umanità che si muove, si sposta, parla, consuma, sorride e si abbraccia, si urta e si urla in un caos apparentemente privo di senso. E io qui, a questo tavolino, osservatore indiscreto di uomini e donne. Sarà il piglio dello psicologo, trasmessomi da uno dei miei insegnanti che per esercitare la capacità di osservazione ci portava al centro commerciale semplicemente per imparare a “vedere”.  Non le vetrine: le persone. 
Così mentre sorseggio mi viene in mente che il vedere è uno dei miei verbi preferiti, uno di quello più amati da coloro che hanno tramandato la buona notizia del mio Maestro. Si, perché se anche ho l’ardore e la sfrontatezza di insegnare a dei docenti, mi riconosco sempre e solo un discepolo, un discente, uno in movimento, mosso dal desiderio e dalla mancanza, nella costante ricerca delle tracce che lui, il mio Maestro, lascia ogni giorno camminando in quest’eterno presente, sperando - per tornare al verbo - che qualcuno le veda. Vedere. Lui vedeva la massa e la folla, vedeva la sofferenza, vedeva chi si adoperava a cercarlo con un piglio così testardo da salire perfino su un albero, vedeva degli uomini affaccendati nel loro lavoro di pescatori, vedeva dall’alto nell’ultimo momento i suoi affetti più cari. Vedeva: non si stancava mai di esercitare l’arte dello sguardo quasi a dirci che non esiste parola sensata che non sia preceduta da uno sguardo autentico. Vedeva: percepiva il bisogno di ogni umano di sottrarsi all’insignificanza, percependo sul proprio volto il posarsi di uno sguardo amico, pacifico, benevolo. Vedeva: scrutava il desiderio di ogni cuore, quel vuoto nato da uno sguardo mancato, da una parola d’amore non detta, da occhi poco attenti alla domanda. In fondo il problema dell’esistenza sta tutto qui: abbiamo il bisogno primario di essere visti, di sentire che esistiamo, che il nostro corpo è carne amata, che la nostra storia è osservata da qualcuno che non rende vano l’amore e il dolore, la fatica e l’impegno, la caduta e il rialzarsi. Abbiamo bisogno di sapere che in questo “sputo di universo” - per citare Vecchioni - qualcuno ci segue con amore, per sottrarre al vuoto definitivo il nostro esistere, per liberarci dal non sguardo della morte. Il mio Maestro - che nell’ultimo sguardo invoca con tenerezza il perdono - mi insegna che  basta uno sguardo d’amore a ridestare l’eterno e a sottrarci al caos.  Uno sguardo capace di raggiungere le sorgenti sconosciute della vita, il mistero più oscuro di questa materia che ci compone, uno sguardo che riconsegna all’essere eterno il nostro essere finito.   





In fondo, quando ero piccolo e come un recente film mi ha ricordato, anche io pensavo che quando non posavo lo sguardo su un oggetto questi smetteva di esistere e mi domandavo se fossi stato ancora vivo il giorno in cui nessuno più mi avesse visto. E mentre continuo a guardare la frenesia di queste persone, mentre i misteriosi percorsi del mio cervello mescolano immagini, parole e odori, il mio  bambino interiore pensa che forse la salvezza sta proprio qui, in uno sguardo amorevole e tenero che ci viene a cercare quando ogni altro sguardo viene a mancare. Così seguo il disordine frenetico di questa stazione, inquadro la fretta di tutto questo cammino, il continuo partire e tornare, come la ricerca spasmodica di uno sguardo primordiale e ultimo, lo sguardo della vita, della creazione, del Verbo.  E’ il desiderio di essere visti che ci muove, ci spinge, ci tormenta, tra armistizi e conflitti, tra mancamenti e ondate di piena, riconsegnandoci al destino ultimo della nostra esistenza: due occhi, due occhi di madre, due occhi di padre, due occhi d’amico, due occhi di amante, due occhi d’amore. Incrociarli su questa terra, anche per un solo attimo, significa incontrare l’eterno, oltrepassare la morte, compiere la Pasqua, contagiare d’amore la gente, smettere di vivere da morti e cominciare ad esistere da vivi. 

venerdì 23 febbraio 2018

I fedeli laici: unica speranza per un clero ammalato di potere.

Tempeste. Una dietro l’altra. Tempeste mediatiche, numeriche, emotive. Mi riferisco alle tante notizie che affollano i media cartacei, televisivi, della rete e che riguardano la vita del clero cattolico. Accusato oggi di non vivere il celibato in favore di condotte omosessuali, ieri di esorcizzare (e/o molestare) piccole ragazze con il demonio in corpo, l’altro ieri di pedofilia e domani chissà di cos’altro. Si tratta di questioni scottanti, complesse, lette all’interno del clero a volte a partire da un timore scandalistico, a volte nel senso spiritualizzante di una conversione individuale e altre volte alla luce di movimenti politici più o meno occulti che si servirebbero di notizie da gossip o da cronaca nera per assediare ancora una volta la chiesa romana, con i forzieri provenienti dall’otto per mille. Personalmente non sento di identificarmi con nessuna di queste posizioni. E’ da ormai diverso tempo che quando vengo a conoscenza di queste notizie cerco di non lasciarmi tirare giù dalla voglia di gossip ma di allargare piuttosto lo sguardo e magari, perché no, farlo scendere in profondità. E, forse per un senso di rivalsa rispetto ad una matematica in cui sono stato sempre una schiappa, cerco di trovare il comun denominatore  riguardante le situazioni su cui rifletto e medito. Un esercizio a volte molto complesso e delicato, se non rischioso, in un’istituzione ecclesiale in cui la libertà di vedute è limitata da un magistero che sembra non potersi mettere in discussione. Ci provo anche questa volta però e mi pongo questa domanda: cosa accomuna l’esercizio di un potere medievale tramite un esorcismo rivolto ad una bimba fragile con il fenomeno dei preti milionari e goderecci? E tutto questo come si rapporta al problema della pedofilia all’interno del clero, dello scarso numero di vocazioni presbiterali e a quello della doppia morale? Ad esempio nel caso dell’omosessualità mentre si continua ad indicare gravemente scorretta la situazione di chi la vive, è pienamente tollerata all’interno del clero… ed è a questa doppia morale che spesso ci si appiglia accusando come l’istituzione ecclesiastica. Chissà...se forse si usasse misericordia e tenerezza verso tutti in  tutti gli ambiti ci sarebbero meno spigoli a cui aggrapparsi. Ma torniamo alla domanda: cosa accomuna tutte queste questioni diverse, alcune apparentemente molto lontane tra loro? La concezione stessa del sacerdozio cattolico. Questo è la mia risposta, certamente opinabile. Una concezione errata del sacerdozio a partire dal suo stesso nome. Non è questa la sede di una ricostruzione storica di come siano andate le cose ma non posso dimenticare quanto un colto prete dopo l’ordinazione presbiterale mi disse: “Gennaro ricordati che sei un presbitero, non un sacerdote”. Ogni giorno capisco meglio quell’affermazione. La Scrittura sostiene pienamente che l’unico sacerdote è Cristo e chi guida la comunità ha tutt’al più il ruolo di sorvegliante cioè vescovo, di anziano cioè presbitero, di diacono cioè servo. Tutti incarichi e ministeri che hanno a che fare con delle relazioni improntate al servizio, alla vigilanza paterna, all’esperienza di fede da condividere. Incarichi e ministeri mai in accordo con i verbi del potere, con i munus di cui è pieno il diritto canonico e la teologia del sacramento dell’ordine. Il sacerdozio cattolico oggi più che mai andrebbe riconsiderato e ricollocato nella giusta dimensione evangelica,  anche alla luce degli studi storico-critici che consentono di risalire a quello che era il pensiero originario di Gesù di Nazareth e della sua prima comunità. Noi abbiamo fatto, nei secoli, di un ministero e di un servizio un potere e una potestà. Ci siamo rivestiti di sacro e spogliati di umano, credendo di poter coprire con i paramenti sacri la fragilità dei corpi e dei cuori,  simili a ai corpi e ai cuori di tutto il genere umano. Abbiamo tentato di confondere con incensi variegati l’odore della vita, delle passioni e delle pulsioni che pure abitano la nostra vita come la vita di tutti gli umani. Abbiamo cercato di divinizzare la nostra presenza, creando un mito sociale le cui conseguenze ci si stanno ritorcendo contro in termini di aspettative, attese, pressioni,  richieste. Abbiamo  voluto far credere a tutte le nostre comunità, con l’aiuto magari di qualche laico affezionato, che il clero così come lo pensiamo noi (cioè il clero stesso) è essenziale alla vita e alla continuità della chiesa quando potrebbe (e dovrebbe) essere ripensato e riformato alla luce  delle esigenze odierne della comunità e della comprensione attuale dell’intenzione di Cristo espressa dal Vangelo. 

Il problema è che il sacerdozio cattolico è concepito unicamente come un potere. Fatta salva la pace di chi cerca di viverlo come un servizio e di coloro che pongono l’accento su altro.... Il potere. Il credere di ricoprire un ruolo di potere e viverlo in questo modo, magari autorizzati se non stimolati da tutta una teologia mitologica che ha prodotto nei fedeli un senso di bigottismo medievale, terreno fertile per la manipolazione delle menti. Un potere manipolativo che consente allo psicopatico in talare di turno di far del male ad una ragazzina esorcizzandola, che permette alla persona con difficoltà affettive più o meno serie di rifugiarsi in un’istituzione che si mostra asessuata e che dona in cambio una forte identità sociale grazie alla quale, magari, poter vivere di nascosto qualche pulsione perversa e incontrollata. Un potere che come tutti i poteri vive una morale a doppio senso, non tollerando negli altri ciò che tollera in sé, proprio come quei politici corrotti o quei farisei dal doppio peso di cui parla Gesù. Un potere che affascina e nelle cui brame cadono giovani a volte mossi dal più bello degli innamoramenti e dal più spirituale degli entusiasmi ma che poi si ritrovano, dopo qualche anno di sacerdozio, a fare i conti con quel l’umanità che avevano sotterrato sotto la magia dell’abito nero, garante di tante attenzioni e ammirazioni, pane buono per i narcisismi del nostro tempo. Un potere che come molti poteri non si interessa solo a norme e leggi morali ma anche al portafogli delle persone: basti pensare a come nella nostra esperienza ecclesiale i laici, anche nelle questioni economiche (si tratta dei loro soldi) hanno nel migliore dei casi solo un potere consultivo e mai deliberativo: la cassa è sempre e solo nelle mani del clero. 





Un potere che come tutti i poteri non vuole cambiare, non vuole ripensarsi, non fa crescere gli altri e non riforma se stesso per la paura forse di guardarsi allo specchio e scoprirsi semplicemente ciò che si è: uomini come gli altri, fragili, poveri, deboli e nello stesso tempo preziosi, amati e bellissimi. Cristiani come gli altri: non persone chiamate a seguire Gesù più da vicino, predilette dal Santo o dalla Madonna di turno, con un potere sacro e una capacità di mediazione divina. Forse è proprio a da  questa cattedra di normalità che occorrerebbe ripensarsi. Magari a partire da questo ripensamento le comunità diverrebbero adulte, meno dipendenti, davvero ministeriali. Comunità in cui tutti, nella diversità dei servizi e dei carismi, possono sedersi alla stessa mensa senza distinzioni di potere e di rango. In fondo anche oggi, almeno per me, vale quanto affermato dal grande De André: bisogna fare un po’ di strada per evitare di “diventare così coglioni da non riuscire più a capire che non ci sono poteri buoni”.  Spero che i tanti cristiani cattolici, chiamati “laici” dal clero, sappiano capirlo presto aiutando noi, membri di questa classe scelta, a convertirci e cambiare rotta. 

domenica 18 febbraio 2018

La tratta nascosta. Quando il potere maschilista e la corruzione di qualche superiora generano orrori nel cuore della chiesa.

Questa sera, al telefono con un vescovo del Sud Italia, commentando una questione sento dirmi: " Prima di parlare alla gente della tratta delle schiave, dovremmo avere il coraggio di porre fine alla tratta delle suore". Beh, una parola senz'altro forte, condita da note di spontaneità e di sfogo, nate dal cuore di chi, magari, in questi giorni si è trovato dinanzi a situazioni assurde. Situazioni assurde di cui è piena la nostra Chiesa, romana, cattolica e non di rado borghese e maschilista. Situazioni spesso volute e gestite da donne con cuori leggeri e tasche profonde. Qui non mi riferisco tanto alla tratta delle novizie di cui parlò Francesco nel 2014 (cosa che resta grave) ma a quelle situazioni di donne "serve"





nei confronti delle quali spesso, il clero, basso o alto che sia, fa finta di niente, preferendo di seguire le orme del sacerdote e del levita della famosa parabola che pur vedendo passarono oltre. E' sotto gli occhi di tutti il fatto che siamo pieni di religiose che vengono dai paesi poveri, asiatici, africani o latino-americani. Molte di queste - le generalizzazioni sono sempre da evitare - scelgono la vita religiosa con motivazioni diverse, non sempre adulte e serene, spesso affidandosi a donne o uomini carismatici che prima le educano con un terrorismo d'altri tempi e poi le manipolano "vendendole" come forza lavoro a frati, monsignori, preti bisognosi di chi pensi alla loro mensa e ai loro calzini. Suore cameriere. Suore serve. Suore cuoche. Suore sarte. Suore spazzine. Per carità, tutte cose belle se vissute in modo sereno e non coercitivo, perché anche di questo c'è bisogno e anche di queste cose (o forse soprattutto) è fatta la carità. E lo dico vivendo con delle religiose sempre pronte ad aiutarmi in faccende anche umili ma capaci di farlo con gioia perché convinte dell'amore fraterno che nutro per loro e con il quale ogni giorno cerco di custodire la loro gioia. Ma quando queste mansioni vengono ottenute a partire dal proprio potere maschilista, clericale ed economico, beh allora siamo fuori dallo spontaneo servizio di carità e siamo nell'ottica dello sfruttamento. Mi è capitato in questi giorni entrando in un convento di parlare con dei frati. Uno mi dice, riferendosi alle sue suore: "Sai, loro fanno il loro servizio ma non conosco le cose loro, non so niente della loro vita". Un altro pure dice di non interessarsi a loro: dalla vista si direbbe che della loro vita davvero non sa niente ma  da alcuni racconti sembra sia molto interessato alla loro cucina. Com'è possibile che un prete non si preoccupi della vita di coloro che con umiltà e dedizione lo aiutano nella gestione della casa, della mensa quotidiana, delle faccende domestiche? Io credo che in  questi casi non si conosce solo ciò che non si vuol conoscere e non si vede solo ciò che non si vuol vedere. E il potere maschilista e buontempone, alleandosi spesso a matrone - superiore, esperte in plagio e denaro, non vuole vedere il grido silenzioso di tante religiose che vorrebbero essere trattate non come manovalanza a basso prezzo ma come donne ricche di dignità oltre che di sorrisi, donne a cui si deve rispetto e protezione, perché magari lontane migliaia di chilometri dalla propria casa e "esposte" al pericolo come le vedove e gli orfani del Primo Testamento. Meno male però che ci sono vescovi e preti che non passano oltre, che si adoperano con decisione, laddove ne vengono a conoscenza, per mettere fine a questa tratta, una forma tuttora contemporanea di schiavismo. Nel cuore della nostra Chiesa. Forse la conversione per gran parte del clero coinvolto in queste storie, potrebbe iniziare proprio da qui. Proprio oggi. In quest'ennesima Quaresima che rischia di allontanarsi dalla sua dimensione di "segno sacramentale della nostra conversione" per essere il segno tangibile della nostra ipocrisia.

domenica 11 febbraio 2018

Quando i profeti non profetano. A proposito di omosessualità e delle recenti vicende torinesi.

I profeti, almeno come la Scrittura ce li presenta, non sono mai stati campioni di diplomazia, persone dalla lingua sibillina, opinionisti dalle mezze verità. Non di rado, anche a costo della vita, si sono  fortemente esposti: forse perché a loro la vita non ha chiesto ciò che (forse) ha chiesto agli uomini di potere, chiamati sempre a contrattare, a negoziare, a tenere insieme pezzi che a volte insieme proprio non ci stanno. Eppure i potenti hanno bisogno dei profeti: sono antenne che intercettano il futuro, artisti capaci di scrutare l'ampiezza incontenibile del volto di Dio, del suo Amore liberante. Ci sono gesti profetici anche oggi, anche nell'esperienza ecclesiale cattolico-romana: profezie a volte mosse dallo stesso Papa che disegna profili di accoglienza e solidarietà tentando anche di allargare gli spazi di vita e di speranza a partire dalle condizioni reali dell'uomo contemporaneo; uomini e donne che rimarcano l'importanza di tornare all'essenziale della fede come tante esperienze monastiche insegnano; esperienze di famiglie dedite all'annuncio e al servizio in un modo così "totalitario" che con la loro esistenza mettono in dubbio una delle motivazioni "pratiche" tanto declinata per il celibato presbiterale, quella che del "tempo che non basterebbe".  E poi c'è un altro campo della profezia, quello di chi si dedica con passione all'accoglienza e all'annuncio del Vangelo alle persone e alle coppie omosessuali, gente ferita spesso dalla paura di un giudizio sociale che, nonostante le apparenze, resta molto ostile, gente ferita dalla stessa potenza anonima di una dottrina che continua a ritenere l'omosessualità un disordine oggettivo e - teoria vecchia nonchè scientificamente assurda ripresa dalla Congregazione per il Clero nel 2016 - un fattore che ostacola gravemente il corretto relazionarsi agli uomini e alle donne. Beh, con gli animali e le piante sembrano non ci siano appurate difficoltà. 




Venendo all'oggetto di questo post ho seguito, come tanti altri, le vicende del ritiro per persone omosessuali annullato, dopo malumori di taluni gruppi di fedeli, dal Vescovo Nosiglia e rinviato ad altra data.  Come mai un Pastore di una diocesi così importante, insieme a persone, preti, religiosi e laici che lavorano in quest'ambito di frontiera non hanno previamente considerato il sorgere di eventuali lamentele? E come mai hanno fatto marcia indietro? Se nel giusto perchè non hanno proseguito? Ecco, questo è il punto. Canonicamente, ufficialmente, dottrinalmente almeno che non si premetta con chiarezza la necessità della castità assoluta e di un orientamento sessuale che assume i tratti del sacrificio e della croce - giusto per essere chiari - si è fuori dalla dottrina ufficiale della Chiesa romana. A dispetto di ogni pronunciamento pontificio ad alta quota (il documento della Cogregazione del Clero è successivo al famoso "chi sono io per giudicare").

Ecco, vorrei dire con franchezza cosa penso. Penso che occorre smetterla di fingere che il problema sia l'approccio pastorale, il linguaggio spirituale, il rapporto con la grazia, ecc. ecc. Bisogna avere il coraggio di dire le cose come stanno. Di dire che la Chiesa ritiene l'omosessualità un disordine oggettivo. Punto. Senza repliche. Senza ambiguità. Senza un parlare sibilino.  L'ambiguità fa più male di una certezza spiacevole. E laddove si avesse davvero a cuore la vita di tanti ragazzi, giovani e adulti omosessuali, laddove,  contemplando il volto del Dio di Gesù di Nazareth, si leggesse  con fedeltà e competenza le Scritture che contengono senza esaurirla la sua Parola ci si trovasse con la coscienza posta dinanzi ad una "verità" diversa da quella del Magistero cattolico...cosa dovrebbe accadere?  Dovrebbe accadere che, rischiando critiche e richiami, nel nome di una profezia non negoziabile si pronunciasse quell'unica frase che potrebbe davvero sollevare e dar forza a questi fratelli e a queste sorelle: IO NON SONO D'ACCORDO
Non sono d'accordo con chi dice, ignorante delle scienze umane, che l'omosessualità è un grave ostacolo alla relazione. Non sono d'accordo ancor di più se si tratta di un membro dell'alto clero che in base a questa considerazione dovrebbe chiedere le dimissioni di un numero presumibilmente alto di preti, vescovi e colleghi di conclave. 
Non sono d'accordo sulla voyeuristica ossessione di chi vuol entrare costantemente nelle scelte sessuali degli altri come se la camera da letto  fosse il centro e il luogo più frequentato dal Vangelo che, per quanto ricordi, ce ne ha parlato ben poco. 
Non sono d'accordo con chi in nome di Dio pone pesi insopportabili e pesantissimi sulle spalle di tanta gente: penso alla difficoltà di tanti adolescenti, ragazzi, ragazze, giovani e adulti che interiorizzano dentro una paura enorme di Dio, un sentirsi sotto attacco, magari a causa anche di ciò che di simile è stato sperimentato in famiglia con i propri genitori. 
Non sono d'accordo con chi si arroga la verità sentenziando sulla vita delle persone e ritenendosi unici detentori di ciò che è giusto e sbagliato. E non sono d'accordo neanche con tutti questi incontri da ghetto: per omosessuali, per coppie omosessuali, per preti omosessuali. Incontri che alimentano spesso quel senso di vergogna, di segretezza, di timore di essere scoperti. Per carità immagino che abbiano fatto e facciano tanto bene ma sulla lunga non rendono giustizia alla causa di questi fratelli che sono feriti si, ma non a causa della loro condizione ma a causa del nostro giudizio malato così malato da considerarsi sacro e inviolabile, basato sulla legge del sacrificio inumano di se stessi. 
Non sono d'accordo. Ecco. L'ho detto. Se venisse oggi stesso da me una coppia di persone omosessuali, una coppia che cerca di vivere nella fedeltà come tutti, una coppia che come tutte le coppie sane non trova altra gioia se non quella di amare e lasciarsi amare, facendosi un pò di compagnia nel tragitto faticoso di questa vita...ecco se venisse oggi stesso da me questa coppia e mi chiedesse: "c'è qualcosa per noi omosessuali, tipo un incontro particolare"? Io mi arrabbierei e gli direi un secco e deciso...no! Gli direi forse così: amici, voglio conoscervi, stare con voi, magari leggere insieme una pagina di Vangelo ma solo per fare un pò di conoscenza, come faccio con tutti. Poi, per il resto, c'è la comunità. Non serve un percorso a parte. Non serve un'esperienza da ghetto. Serve stare insieme, con tutti, essendo liberamente ciò che si è e ringraziando Dio per questo. Certo, sapete ed è mio dovere dirvi cosa pensa una parte della Chiesa, il suo, così chiamato, Magistero. E su questo, amici miei, non posso far niente se non dir loro quello che dico a voi: non sono d'accordo". Poi li inviterei a tavola come tutti. Alla mia come a quella del Maestro. Pronto per un richiamo dai piani alti. Ma certo di aver strappato con la mia caparbietà tre sorrisi. Quello dei miei due  nuovi amici. E quello del mio Maestro e Signore.  

sabato 6 gennaio 2018

Epifania. "Dentro il cuore un remoto rumore di calda sorgente". Pensieri liberi.

L'epifania. E' una delle feste cristiane che maggiormente amo anche se talvolta la si vive con una fretta sommaria, la fretta di chi stanco di avere addobbi natalizi per casa si affretta a rimuoverli perché le feste sono finite e domani non c'è il tempo per mettere tutto apposto. E' una festa bistrattata: vista come spartiacque tra i giorni natalizi e il ritorno ad un ordinario senza festa (l'epifania tutte le feste porta via); vissuta come momento fatidico in cui disporre sul presepe le statuine dei tre re che però avranno al massimo qualche ora di vita, prima di tornare in cantina;  affrontata come si affronta un bilancio, bilancio del peso corporeo post natalizio, bilancio delle cose monotone che occorre riprendere  a fare, bilancio e preventivo delle cose sospese e di quelle rimandata a "dopo le feste".
Eppure a me questi tre personaggi misteriosi e affascinanti mi interpellano sempre e con forza e fascino in costante aumento. E' chiaro. Chi ce li presenta è l'evangelista Matteo che certamente non ha l'intento storico di dirci come è andato il fatto. Matteo vuole dirci qualcosa su Dio, sulla sua rivelazione in Gesù di Nazareth e certamente i suoi racconti dell'infanzia sono stati scritti per questo scopo, con la fantasia e la sapienza di chi utilizza immagini simboliche e scritturistiche precise e chiare ma certamente ben lontane dalla storia. Matteo non è un astronomo. Non è un esperto di re e pellegrini orientali. Non gli interessa il modo concreto in cui Gesù è nato e quali siano stati i suoi primi incontri. Gli interessa piuttosto far capire, tramite il suo racconto, quale sia la novità che egli ha portato e cosa questa novità richiede oggi, come sempre, ad ogni uomo che in vario modo si confronta con il mistero di Dio. Tante sono le suggestioni, le domande, i pensieri che il brano evangelico dell'Epifania provoca con la sua grande bellezza ma voglio restare su quanto ho detto. 

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  Quale novità dice su Dio? Una novità di cui abbiamo sempre bisogno: Dio non è il tesoro ristretto di un solo popolo, di una sola comunità, di una sola stirpe. Dio non è la caparra certa di chi accampa poteri su di lui o di chi crede di conoscerlo in base alle leggi terrene, ieri del tempio oggi canoniche, domani chissà cosa. Dio è inclusione. Dio è apertura. Dio è accoglienza. E' parola rivolta a tutti. E' mano tesa nella notte. E' voce che parla nel cuore dell'uomo invitandolo a guardare oltre, a lasciarsi muovere e smuovere dal desiderio bruciante, dall'inquietudine santa di chi si accorge che alla vita, ad ogni vita di questa terra manca qualcosa di importante e che questa mancanza è l'invito ad una festa di amore. Dio è l'invito. Dio è la festa. Dio è l'amore. Rivolto a tutti. Tutti. Proprio tutti. Uomini e donne di ogni razza e cultura, di ogni fede e tradizione, di ogni genere e di ogni orientamento (anche sessuale...e pensate quanto ci sia bisogno oggi di questa novità se fa notizia il fatto che un parroco non si opponga a celebrare insieme e in chiesa il funerale di due giovani fidanzati omosessuali morti in una vera e propria tragedia). Dio non conosce porte chiuse e muri alzati ma conosce solo l'arte di spalancare le porte e costruire ponti. Il Vangelo di oggi ci dice questo: Dio non è solo di Israele, come non è solo della Chiesa cattolica, come non è solo delle chiese cristiane, come non è solo dei credenti. Dio è di tutti. Ed è per tutti. E tutti possono entrare nel calore del suo abbraccio, così come commenta S. Leone Magno nella Liturgia delle Ore di quest'oggi: "Entri, entri dunque nella famiglia dei patriarchi la grande massa delle genti". Che novità perenne quella di oggi. E cosa dice a me questa novità, cosa dicono a me questi Magi fascinosi e attraenti? Mi dicono che non devo accontentarmi. Che non devo aver paura della mia inquietudine. Che devo avere il coraggio di guardare le stelle per leggere nel creato i segni di un'intelligenza creatrice che accende nei cuori di chi ne è consapevole desideri di bene e di giustizia, di pace e di amore. Questi Magi mi dicono che devo osare, muovermi e smuovermi dalle mie abitudini, dalle strade già battute, dagli orizzonti già scrutati per ritrovare nuove vie attraverso le quali ritornare alla vita. Mi dicono anche che devo imparare a non percepire me stesso come termine delle mie attese e che per quanto possa diventar saggio e dotto sarò davvero sapiente se saprò adorare non l'immagine di me o di qualche idolo, ma un bambino, il Bambino in cui batte il cuore di Dio, il cuore che solo può riempire ogni cuore:

La tua voce è ombra di sogno.
Le tue parole
sono nell'aria assonnata
petali di rose bianche.

Ai tuoi capelli dorati,
al tuo sguardo profondo,
alla tua voce velata e triste,
offro il mio manto andaluso!

E' nei tuoi occhi la nebbia
delle mattine antiche;
degli occhi indolenti,
intrisi di lontananze.

Nell'ascoltarti si sente
dentro il cuore un remoto
rumore di calda sorgente.

(Federico Garcia Lorca, Poesie d'amore).