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Pensieri, riflessioni, opinioni e idee per condividere e condividersi, capire e capirsi.
giovedì 21 febbraio 2019
Il comun denominatore. Dalla Paranza dei bambini alla Conferenza sugli abusi.
domenica 17 febbraio 2019
Mosè, vieni, avvicinati.
Dio lo chiamò dal roveto e disse: «Mosè, Mosè!». Rispose: «Eccomi!». Riprese: «Non avvicinarti! Togliti i sandali dai piedi, perché il luogo sul quale tu stai è una terra santa!». E disse: «Io sono il Dio di tuo padre, il Dio di Abramo, il Dio di Isacco, il Dio di Giacobbe». Mosè allora si velò il viso, perché aveva paura di guardare verso Dio. (Esodo 3, 4-6)
Mosè, vieni, avvicinati.
Togliti i calzari dai piedi
affinché tu possa sentire il calore della terra
che ti ho donato come madre e sorella.
Mosè non avere paura.
Io non sono il Dio dei grandi,
dei potenti,
dei personaggi epici cantati dai popoli.
No Mosè,
Vieni pure, senza timore alcuno,
perché oltre il deserto delle certezze granitiche
hai trovato il monte lieve
dove brucia il mio amore
che non consuma,
che non spaventa,
che non respinge,
che non distrugge.
Hai trovato il mio amore di padre,
hai trovato la mia tenerezza di madre.
Mi domandi chi sono...
Io non ho nome,
sono, e basta.
E quando qualcuno incline alle presentazioni
con insistenza mi chiede un documento,
io non so rispondere con un nome e cognome
ma con una sola parola: Amore.
Si Mosè, io non sono l'Onnipotente,
Il Giudice implacabile, il Vendicatore terribile,
no, queste sono parti di voi che credete essere me.
Piccolo Mosè io sono solo l'Amore.
Si, l'Amore di Abramo, di Isacco, di Giacobbe.
Ma anche di altri, di mille e mille,
di tutti i miei figli e di tutte le mie figlie.
Io sono l'Amore che ha sostenuto Francesco,
che non ha mai conosciuto i suoi genitori e non sa quanto sia preziosa la sua vita.
Sono l'Amore che ogni giorno parla a Debora, che non riesce a volersi bene a causa di tante ferite e che trova solo nella mia voce sconosciuta un motivo per andare avanti.
Sono l'Amore che accompagna Mirco e Rossella, che con dolore e coraggio aspettano un bimbo che non camminerà mai.
Sono l'Amore che prende per mano Gianluca, giovane che si crede sbagliato e che mette mille maschere solo perché si è innamorato di un ragazzo come lui e ha timore di vivere un amore sano, vero, autentico.
Sono l'Amore che culla le notti insonni di Shadat, piccolo bengalese che ha visto inghiottire dal mare i suoi compagni di viaggio.
Sono l'Amore di Pino, che ha sorriso fino alla fine per amore di una giustizia che non arrivava.
Sono l'Amore che da forza a Alessandro,
tentato di voler buttare il suo servizio all'aria per un senso soffocante di solitudine.
Sono l'Amore che canta antiche melodie a Luisa, anziana nonnina abbandonata da tutti ma non dal sorriso.
Sono l'Amore di Paola, che nonostante i dolori e le ferite dell’anima ha donato sempre aiuto concreto a tanti.
Sono l'Amore che piange con la mamma di Joao, bimbo africano con una pancia grande, piena di aria e vuota di cibo.
Sono l'Amore che spinge a non demordere i giovani, a cui adulti mai cresciuti hanno rubato il futuro e il presente.
Sono l'Amore che cammina con Pio, che troppo piccolo ha perso la mamma e che ho imparato a cullare attraverso gli sguardi premurosi di educatori amorevoli.
Mosè, Io sono. Sono e basta.
Sono l'Amore che viaggia con i piccoli e i poveri di questa terra,
che cammina con chi ha il coraggio di fidarsi e di imparare a guardare oltre,
che nutre i desideri e i sogni dei giovani,
che canta le speranze e le grida dei bimbi,
che non conosce limiti e confini,
che vola sopra i muri e le barriere,
per donare a tutti l'acqua della vita,
una vita talmente piena di me che sono amore da non temere nulla,
neanche la morte.
E allora vieni qui Mosè,
non temere sei non ami le liturgie dei grandi,
se non comprendi le leggi dei potenti,
se poco hai capito della complessità del mondo,
e se ti sei stufato di sentir parlare di me come si parla di un libro già conosciuto.
Ti chiedo solo di venire qui e di lasciarti amare.
Ogni giorno sento la sofferenza e il dolore dei miei figli.
Vieni con me, ti prego.
Sono così debole che da solo non posso.
Ho bisogno di te.
Portami a loro.
Non con mille parole
ma con un solo sguardo.
Uno sguardo di luce,
Uno sguardo d'Amore.
sabato 6 ottobre 2018
CHIESA, uno dei sintomi della tua malattia è il MASCHILISMO MISOGINO, che ha anestetizzato il sogno del Maestro!
domenica 16 settembre 2018
Distanza
Mi separano da tesecoli di discussioni,strade di mille parole,innumerevoli dipinti affrescaticon le tinte di chi presumevadi saper tutto di te.Oggi dietro questa coltre alfabetica,oltre la nebbia delle certezze granitiche,intravedo il tuo volto.Per qualcuno il tuo posto è tra i mitima i miti non sono cose bruttee sono più veridi ciò che si tocca,di ciò che si vede.E tra i racconti presenti e passatimai vi fu uno così carico di vita,da oltrepassare i binari della storiaper lasciarsi portare dal vento,per penetrare dall’orecchio nel cuore,per generarein chi lo accoglie indifeso,l’amore inclusivo,eterno e accogliente,casa per tutti,segreto di pace,sorgente di vita.
martedì 21 agosto 2018
Riflessioni a margine della Lettera al Popolo di Dio di Papa Francesco
mercoledì 18 luglio 2018
Sguardi marziani
martedì 17 luglio 2018
L’evoluzione dell’umano
venerdì 23 marzo 2018
Mendicanti di sguardi. Un aperitivo, gente che corre e il bisogno primario di essere visti.
venerdì 23 febbraio 2018
I fedeli laici: unica speranza per un clero ammalato di potere.
Tempeste. Una dietro l’altra. Tempeste mediatiche, numeriche, emotive. Mi riferisco alle tante notizie che affollano i media cartacei, televisivi, della rete e che riguardano la vita del clero cattolico. Accusato oggi di non vivere il celibato in favore di condotte omosessuali, ieri di esorcizzare (e/o molestare) piccole ragazze con il demonio in corpo, l’altro ieri di pedofilia e domani chissà di cos’altro. Si tratta di questioni scottanti, complesse, lette all’interno del clero a volte a partire da un timore scandalistico, a volte nel senso spiritualizzante di una conversione individuale e altre volte alla luce di movimenti politici più o meno occulti che si servirebbero di notizie da gossip o da cronaca nera per assediare ancora una volta la chiesa romana, con i forzieri provenienti dall’otto per mille. Personalmente non sento di identificarmi con nessuna di queste posizioni. E’ da ormai diverso tempo che quando vengo a conoscenza di queste notizie cerco di non lasciarmi tirare giù dalla voglia di gossip ma di allargare piuttosto lo sguardo e magari, perché no, farlo scendere in profondità. E, forse per un senso di rivalsa rispetto ad una matematica in cui sono stato sempre una schiappa, cerco di trovare il comun denominatore riguardante le situazioni su cui rifletto e medito. Un esercizio a volte molto complesso e delicato, se non rischioso, in un’istituzione ecclesiale in cui la libertà di vedute è limitata da un magistero che sembra non potersi mettere in discussione. Ci provo anche questa volta però e mi pongo questa domanda: cosa accomuna l’esercizio di un potere medievale tramite un esorcismo rivolto ad una bimba fragile con il fenomeno dei preti milionari e goderecci? E tutto questo come si rapporta al problema della pedofilia all’interno del clero, dello scarso numero di vocazioni presbiterali e a quello della doppia morale? Ad esempio nel caso dell’omosessualità mentre si continua ad indicare gravemente scorretta la situazione di chi la vive, è pienamente tollerata all’interno del clero… ed è a questa doppia morale che spesso ci si appiglia accusando come l’istituzione ecclesiastica. Chissà...se forse si usasse misericordia e tenerezza verso tutti in tutti gli ambiti ci sarebbero meno spigoli a cui aggrapparsi. Ma torniamo alla domanda: cosa accomuna tutte queste questioni diverse, alcune apparentemente molto lontane tra loro? La concezione stessa del sacerdozio cattolico. Questo è la mia risposta, certamente opinabile. Una concezione errata del sacerdozio a partire dal suo stesso nome. Non è questa la sede di una ricostruzione storica di come siano andate le cose ma non posso dimenticare quanto un colto prete dopo l’ordinazione presbiterale mi disse: “Gennaro ricordati che sei un presbitero, non un sacerdote”. Ogni giorno capisco meglio quell’affermazione. La Scrittura sostiene pienamente che l’unico sacerdote è Cristo e chi guida la comunità ha tutt’al più il ruolo di sorvegliante cioè vescovo, di anziano cioè presbitero, di diacono cioè servo. Tutti incarichi e ministeri che hanno a che fare con delle relazioni improntate al servizio, alla vigilanza paterna, all’esperienza di fede da condividere. Incarichi e ministeri mai in accordo con i verbi del potere, con i munus di cui è pieno il diritto canonico e la teologia del sacramento dell’ordine. Il sacerdozio cattolico oggi più che mai andrebbe riconsiderato e ricollocato nella giusta dimensione evangelica, anche alla luce degli studi storico-critici che consentono di risalire a quello che era il pensiero originario di Gesù di Nazareth e della sua prima comunità. Noi abbiamo fatto, nei secoli, di un ministero e di un servizio un potere e una potestà. Ci siamo rivestiti di sacro e spogliati di umano, credendo di poter coprire con i paramenti sacri la fragilità dei corpi e dei cuori, simili a ai corpi e ai cuori di tutto il genere umano. Abbiamo tentato di confondere con incensi variegati l’odore della vita, delle passioni e delle pulsioni che pure abitano la nostra vita come la vita di tutti gli umani. Abbiamo cercato di divinizzare la nostra presenza, creando un mito sociale le cui conseguenze ci si stanno ritorcendo contro in termini di aspettative, attese, pressioni, richieste. Abbiamo voluto far credere a tutte le nostre comunità, con l’aiuto magari di qualche laico affezionato, che il clero così come lo pensiamo noi (cioè il clero stesso) è essenziale alla vita e alla continuità della chiesa quando potrebbe (e dovrebbe) essere ripensato e riformato alla luce delle esigenze odierne della comunità e della comprensione attuale dell’intenzione di Cristo espressa dal Vangelo.
Il problema è che il sacerdozio cattolico è concepito unicamente come un potere. Fatta salva la pace di chi cerca di viverlo come un servizio e di coloro che pongono l’accento su altro.... Il potere. Il credere di ricoprire un ruolo di potere e viverlo in questo modo, magari autorizzati se non stimolati da tutta una teologia mitologica che ha prodotto nei fedeli un senso di bigottismo medievale, terreno fertile per la manipolazione delle menti. Un potere manipolativo che consente allo psicopatico in talare di turno di far del male ad una ragazzina esorcizzandola, che permette alla persona con difficoltà affettive più o meno serie di rifugiarsi in un’istituzione che si mostra asessuata e che dona in cambio una forte identità sociale grazie alla quale, magari, poter vivere di nascosto qualche pulsione perversa e incontrollata. Un potere che come tutti i poteri vive una morale a doppio senso, non tollerando negli altri ciò che tollera in sé, proprio come quei politici corrotti o quei farisei dal doppio peso di cui parla Gesù. Un potere che affascina e nelle cui brame cadono giovani a volte mossi dal più bello degli innamoramenti e dal più spirituale degli entusiasmi ma che poi si ritrovano, dopo qualche anno di sacerdozio, a fare i conti con quel l’umanità che avevano sotterrato sotto la magia dell’abito nero, garante di tante attenzioni e ammirazioni, pane buono per i narcisismi del nostro tempo. Un potere che come molti poteri non si interessa solo a norme e leggi morali ma anche al portafogli delle persone: basti pensare a come nella nostra esperienza ecclesiale i laici, anche nelle questioni economiche (si tratta dei loro soldi) hanno nel migliore dei casi solo un potere consultivo e mai deliberativo: la cassa è sempre e solo nelle mani del clero.
Un potere che come tutti i poteri non vuole cambiare, non vuole ripensarsi, non fa crescere gli altri e non riforma se stesso per la paura forse di guardarsi allo specchio e scoprirsi semplicemente ciò che si è: uomini come gli altri, fragili, poveri, deboli e nello stesso tempo preziosi, amati e bellissimi. Cristiani come gli altri: non persone chiamate a seguire Gesù più da vicino, predilette dal Santo o dalla Madonna di turno, con un potere sacro e una capacità di mediazione divina. Forse è proprio a da questa cattedra di normalità che occorrerebbe ripensarsi. Magari a partire da questo ripensamento le comunità diverrebbero adulte, meno dipendenti, davvero ministeriali. Comunità in cui tutti, nella diversità dei servizi e dei carismi, possono sedersi alla stessa mensa senza distinzioni di potere e di rango. In fondo anche oggi, almeno per me, vale quanto affermato dal grande De André: bisogna fare un po’ di strada per evitare di “diventare così coglioni da non riuscire più a capire che non ci sono poteri buoni”. Spero che i tanti cristiani cattolici, chiamati “laici” dal clero, sappiano capirlo presto aiutando noi, membri di questa classe scelta, a convertirci e cambiare rotta.
domenica 18 febbraio 2018
La tratta nascosta. Quando il potere maschilista e la corruzione di qualche superiora generano orrori nel cuore della chiesa.
domenica 11 febbraio 2018
Quando i profeti non profetano. A proposito di omosessualità e delle recenti vicende torinesi.
sabato 6 gennaio 2018
Epifania. "Dentro il cuore un remoto rumore di calda sorgente". Pensieri liberi.
sono nell'aria assonnata
petali di rose bianche.
Ai tuoi capelli dorati,
al tuo sguardo profondo,
alla tua voce velata e triste,
offro il mio manto andaluso!
E' nei tuoi occhi la nebbia
delle mattine antiche;
degli occhi indolenti,
intrisi di lontananze.
Nell'ascoltarti si sente
dentro il cuore un remoto
rumore di calda sorgente.
(Federico Garcia Lorca, Poesie d'amore).