domenica 22 ottobre 2017

Portami via, dove il sole non piange: ogni giorno, almeno due bambini, urlano nel silenzio.

"In Italia quasi mille minori ogni anno sono vittime di abusi sessuali: circa 2 bambini ogni giorno. Ma lo scorso anno si è registrato un vero record: 5.383 minori vittima di violenza, non solo sessuale; si tratta di circa 15 bambini ogni giorno. In sei casi su 10 si tratta di bambine": questi i dati pubblicati dal Dossier della Campagna "Indifesa" di Terre des Hommes, associazione internazionale attiva nel campo della tutela e dell'aiuto ai minori. 

Si tratta di dati orribili, da togliere il sonno. Dati che svelano un mondo inquietante, che hanno il sapore di un male indicibile, la nebulosità di un'aria grigia che penetra dovunque: nei contesti familiari (sempre in testa alla classifica), come in quelli amicali, nelle scuole, nelle palestre, nelle chiese. In tutti i contesti umani. Qualsiasi luogo e ambiente può diventare il set cinematografico di questa orribile commedia fatta di verità. Una verità che spesso non si vuol vedere, non si vuol sentire, non si vuol toccare. Una verità che fa paura perché affermare che circa due bambini al giorno sono vittime di abuso sessuale significa dire anche che ogni giorno due adulti, in Italia, commettono quest'atrocità. E non sono dei mostri. 

Questo è l'altro dato che spaventa. Parlare di bambine e bambini abusati, significa parlare di uomini e donne abusanti. Di adulti, uomini e donne, di persone normali. Il vocabolario Treccani definisce il mostro come una "persona brutta e deforme, il cui aspetto incute un senso di orrore e repulsione". No. Qui si tratta di persone comuni: il buon padre di famiglia, tutto lavoro e sacrificio. La buona mamma omertosa o il bell'istruttore della palestra sotto casa. O il maestro modello, o la bidella gentile. Oppure il pretino perfetto o guru carismatico di qualsiasi fede e religione. 

Non sono dei mostri. Sono persone normali. Dalle apparenze normali. Dal funzionamento normale. Ma che dentro hanno delle parti malate. Profondamente. Inesorabilmente. Parti pericolose, provenienti da mondi caotici, da cortocircuiti cognitivi folli, da scissioni radicate oltre il visibile. Se non si inizia ad uscire dal linguaggio giornalistico del "mostro" non si sarà mai capaci di scovarli ed essere attenti anche ai piccoli segnali che lasciano sulle loro vittime. 




Solo Dio sa quanto male possono compiere questi uomini e queste donne quando la loro parte malata prende il sopravvento, quando il loro male radicale non viene affrontato, combattuto, prevenuto, isolato, gestito. 

Sono portatori sani di morte. Quella morte che entra poco a poco, come un siero potente, tra i confini violati delle loro vittime, sotto la pelle di bambini e bambine che tutti i giorni della loro vita, per tutte le ore e i secondi del loro cammino faranno i conti con una parte di sé morta, agonizzante, immobilizzata dalla paura, bloccata dalla roccia del trauma.

Il trauma: che sia grande e solido racchiuso in un unico eventi, o fatto di piccoli assaggi quotidiani, conta poco. Il suo sapore resta nel palato di chi lo ha assaggiato. 

Ancora troppo poco ciò che  le istituzioni di ogni grado e livello fanno. E forse troppo pochi i professionisti competenti e preparati per porre in essere strategie preventive, osservatori capillari dei più piccoli segnali di disagio, percorsi di recupero seri per persone ferite.

Una poesia di Arturo Rembi recita così:

Siamo incroci
di carni ferite,
sguardi di neonati incoscienti,
bocche che assaporano 
piaceri conditi di colpe
che mai nessun giudice potrà assolvere.
Ma qui ci sono io.
Ti porterò fuori.
Dove il sole non piange.
Dove le nuvole sorridono
lasciando piovere 
bambini di cioccolata.


Un bambino vittima di abuso o maltrattamento è il cancro di ogni sistema sociale. L'unica cura da augurargli è quella di poter trovare qualcuno disposto a "portarlo fuori" dal suo male di vivere, fuori dove "il sole non piange" e dove l'essere al mondo diventa non più una condanna ma un piacere genuino, come la cioccolata. Compito della società civile, delle istituzioni, dei professionisti delle scienze umane è essere quel qualcuno. 

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