venerdì 23 febbraio 2018

I fedeli laici: unica speranza per un clero ammalato di potere.

Tempeste. Una dietro l’altra. Tempeste mediatiche, numeriche, emotive. Mi riferisco alle tante notizie che affollano i media cartacei, televisivi, della rete e che riguardano la vita del clero cattolico. Accusato oggi di non vivere il celibato in favore di condotte omosessuali, ieri di esorcizzare (e/o molestare) piccole ragazze con il demonio in corpo, l’altro ieri di pedofilia e domani chissà di cos’altro. Si tratta di questioni scottanti, complesse, lette all’interno del clero a volte a partire da un timore scandalistico, a volte nel senso spiritualizzante di una conversione individuale e altre volte alla luce di movimenti politici più o meno occulti che si servirebbero di notizie da gossip o da cronaca nera per assediare ancora una volta la chiesa romana, con i forzieri provenienti dall’otto per mille. Personalmente non sento di identificarmi con nessuna di queste posizioni. E’ da ormai diverso tempo che quando vengo a conoscenza di queste notizie cerco di non lasciarmi tirare giù dalla voglia di gossip ma di allargare piuttosto lo sguardo e magari, perché no, farlo scendere in profondità. E, forse per un senso di rivalsa rispetto ad una matematica in cui sono stato sempre una schiappa, cerco di trovare il comun denominatore  riguardante le situazioni su cui rifletto e medito. Un esercizio a volte molto complesso e delicato, se non rischioso, in un’istituzione ecclesiale in cui la libertà di vedute è limitata da un magistero che sembra non potersi mettere in discussione. Ci provo anche questa volta però e mi pongo questa domanda: cosa accomuna l’esercizio di un potere medievale tramite un esorcismo rivolto ad una bimba fragile con il fenomeno dei preti milionari e goderecci? E tutto questo come si rapporta al problema della pedofilia all’interno del clero, dello scarso numero di vocazioni presbiterali e a quello della doppia morale? Ad esempio nel caso dell’omosessualità mentre si continua ad indicare gravemente scorretta la situazione di chi la vive, è pienamente tollerata all’interno del clero… ed è a questa doppia morale che spesso ci si appiglia accusando come l’istituzione ecclesiastica. Chissà...se forse si usasse misericordia e tenerezza verso tutti in  tutti gli ambiti ci sarebbero meno spigoli a cui aggrapparsi. Ma torniamo alla domanda: cosa accomuna tutte queste questioni diverse, alcune apparentemente molto lontane tra loro? La concezione stessa del sacerdozio cattolico. Questo è la mia risposta, certamente opinabile. Una concezione errata del sacerdozio a partire dal suo stesso nome. Non è questa la sede di una ricostruzione storica di come siano andate le cose ma non posso dimenticare quanto un colto prete dopo l’ordinazione presbiterale mi disse: “Gennaro ricordati che sei un presbitero, non un sacerdote”. Ogni giorno capisco meglio quell’affermazione. La Scrittura sostiene pienamente che l’unico sacerdote è Cristo e chi guida la comunità ha tutt’al più il ruolo di sorvegliante cioè vescovo, di anziano cioè presbitero, di diacono cioè servo. Tutti incarichi e ministeri che hanno a che fare con delle relazioni improntate al servizio, alla vigilanza paterna, all’esperienza di fede da condividere. Incarichi e ministeri mai in accordo con i verbi del potere, con i munus di cui è pieno il diritto canonico e la teologia del sacramento dell’ordine. Il sacerdozio cattolico oggi più che mai andrebbe riconsiderato e ricollocato nella giusta dimensione evangelica,  anche alla luce degli studi storico-critici che consentono di risalire a quello che era il pensiero originario di Gesù di Nazareth e della sua prima comunità. Noi abbiamo fatto, nei secoli, di un ministero e di un servizio un potere e una potestà. Ci siamo rivestiti di sacro e spogliati di umano, credendo di poter coprire con i paramenti sacri la fragilità dei corpi e dei cuori,  simili a ai corpi e ai cuori di tutto il genere umano. Abbiamo tentato di confondere con incensi variegati l’odore della vita, delle passioni e delle pulsioni che pure abitano la nostra vita come la vita di tutti gli umani. Abbiamo cercato di divinizzare la nostra presenza, creando un mito sociale le cui conseguenze ci si stanno ritorcendo contro in termini di aspettative, attese, pressioni,  richieste. Abbiamo  voluto far credere a tutte le nostre comunità, con l’aiuto magari di qualche laico affezionato, che il clero così come lo pensiamo noi (cioè il clero stesso) è essenziale alla vita e alla continuità della chiesa quando potrebbe (e dovrebbe) essere ripensato e riformato alla luce  delle esigenze odierne della comunità e della comprensione attuale dell’intenzione di Cristo espressa dal Vangelo. 

Il problema è che il sacerdozio cattolico è concepito unicamente come un potere. Fatta salva la pace di chi cerca di viverlo come un servizio e di coloro che pongono l’accento su altro.... Il potere. Il credere di ricoprire un ruolo di potere e viverlo in questo modo, magari autorizzati se non stimolati da tutta una teologia mitologica che ha prodotto nei fedeli un senso di bigottismo medievale, terreno fertile per la manipolazione delle menti. Un potere manipolativo che consente allo psicopatico in talare di turno di far del male ad una ragazzina esorcizzandola, che permette alla persona con difficoltà affettive più o meno serie di rifugiarsi in un’istituzione che si mostra asessuata e che dona in cambio una forte identità sociale grazie alla quale, magari, poter vivere di nascosto qualche pulsione perversa e incontrollata. Un potere che come tutti i poteri vive una morale a doppio senso, non tollerando negli altri ciò che tollera in sé, proprio come quei politici corrotti o quei farisei dal doppio peso di cui parla Gesù. Un potere che affascina e nelle cui brame cadono giovani a volte mossi dal più bello degli innamoramenti e dal più spirituale degli entusiasmi ma che poi si ritrovano, dopo qualche anno di sacerdozio, a fare i conti con quel l’umanità che avevano sotterrato sotto la magia dell’abito nero, garante di tante attenzioni e ammirazioni, pane buono per i narcisismi del nostro tempo. Un potere che come molti poteri non si interessa solo a norme e leggi morali ma anche al portafogli delle persone: basti pensare a come nella nostra esperienza ecclesiale i laici, anche nelle questioni economiche (si tratta dei loro soldi) hanno nel migliore dei casi solo un potere consultivo e mai deliberativo: la cassa è sempre e solo nelle mani del clero. 





Un potere che come tutti i poteri non vuole cambiare, non vuole ripensarsi, non fa crescere gli altri e non riforma se stesso per la paura forse di guardarsi allo specchio e scoprirsi semplicemente ciò che si è: uomini come gli altri, fragili, poveri, deboli e nello stesso tempo preziosi, amati e bellissimi. Cristiani come gli altri: non persone chiamate a seguire Gesù più da vicino, predilette dal Santo o dalla Madonna di turno, con un potere sacro e una capacità di mediazione divina. Forse è proprio a da  questa cattedra di normalità che occorrerebbe ripensarsi. Magari a partire da questo ripensamento le comunità diverrebbero adulte, meno dipendenti, davvero ministeriali. Comunità in cui tutti, nella diversità dei servizi e dei carismi, possono sedersi alla stessa mensa senza distinzioni di potere e di rango. In fondo anche oggi, almeno per me, vale quanto affermato dal grande De André: bisogna fare un po’ di strada per evitare di “diventare così coglioni da non riuscire più a capire che non ci sono poteri buoni”.  Spero che i tanti cristiani cattolici, chiamati “laici” dal clero, sappiano capirlo presto aiutando noi, membri di questa classe scelta, a convertirci e cambiare rotta. 

domenica 18 febbraio 2018

La tratta nascosta. Quando il potere maschilista e la corruzione di qualche superiora generano orrori nel cuore della chiesa.

Questa sera, al telefono con un vescovo del Sud Italia, commentando una questione sento dirmi: " Prima di parlare alla gente della tratta delle schiave, dovremmo avere il coraggio di porre fine alla tratta delle suore". Beh, una parola senz'altro forte, condita da note di spontaneità e di sfogo, nate dal cuore di chi, magari, in questi giorni si è trovato dinanzi a situazioni assurde. Situazioni assurde di cui è piena la nostra Chiesa, romana, cattolica e non di rado borghese e maschilista. Situazioni spesso volute e gestite da donne con cuori leggeri e tasche profonde. Qui non mi riferisco tanto alla tratta delle novizie di cui parlò Francesco nel 2014 (cosa che resta grave) ma a quelle situazioni di donne "serve"





nei confronti delle quali spesso, il clero, basso o alto che sia, fa finta di niente, preferendo di seguire le orme del sacerdote e del levita della famosa parabola che pur vedendo passarono oltre. E' sotto gli occhi di tutti il fatto che siamo pieni di religiose che vengono dai paesi poveri, asiatici, africani o latino-americani. Molte di queste - le generalizzazioni sono sempre da evitare - scelgono la vita religiosa con motivazioni diverse, non sempre adulte e serene, spesso affidandosi a donne o uomini carismatici che prima le educano con un terrorismo d'altri tempi e poi le manipolano "vendendole" come forza lavoro a frati, monsignori, preti bisognosi di chi pensi alla loro mensa e ai loro calzini. Suore cameriere. Suore serve. Suore cuoche. Suore sarte. Suore spazzine. Per carità, tutte cose belle se vissute in modo sereno e non coercitivo, perché anche di questo c'è bisogno e anche di queste cose (o forse soprattutto) è fatta la carità. E lo dico vivendo con delle religiose sempre pronte ad aiutarmi in faccende anche umili ma capaci di farlo con gioia perché convinte dell'amore fraterno che nutro per loro e con il quale ogni giorno cerco di custodire la loro gioia. Ma quando queste mansioni vengono ottenute a partire dal proprio potere maschilista, clericale ed economico, beh allora siamo fuori dallo spontaneo servizio di carità e siamo nell'ottica dello sfruttamento. Mi è capitato in questi giorni entrando in un convento di parlare con dei frati. Uno mi dice, riferendosi alle sue suore: "Sai, loro fanno il loro servizio ma non conosco le cose loro, non so niente della loro vita". Un altro pure dice di non interessarsi a loro: dalla vista si direbbe che della loro vita davvero non sa niente ma  da alcuni racconti sembra sia molto interessato alla loro cucina. Com'è possibile che un prete non si preoccupi della vita di coloro che con umiltà e dedizione lo aiutano nella gestione della casa, della mensa quotidiana, delle faccende domestiche? Io credo che in  questi casi non si conosce solo ciò che non si vuol conoscere e non si vede solo ciò che non si vuol vedere. E il potere maschilista e buontempone, alleandosi spesso a matrone - superiore, esperte in plagio e denaro, non vuole vedere il grido silenzioso di tante religiose che vorrebbero essere trattate non come manovalanza a basso prezzo ma come donne ricche di dignità oltre che di sorrisi, donne a cui si deve rispetto e protezione, perché magari lontane migliaia di chilometri dalla propria casa e "esposte" al pericolo come le vedove e gli orfani del Primo Testamento. Meno male però che ci sono vescovi e preti che non passano oltre, che si adoperano con decisione, laddove ne vengono a conoscenza, per mettere fine a questa tratta, una forma tuttora contemporanea di schiavismo. Nel cuore della nostra Chiesa. Forse la conversione per gran parte del clero coinvolto in queste storie, potrebbe iniziare proprio da qui. Proprio oggi. In quest'ennesima Quaresima che rischia di allontanarsi dalla sua dimensione di "segno sacramentale della nostra conversione" per essere il segno tangibile della nostra ipocrisia.

domenica 11 febbraio 2018

Quando i profeti non profetano. A proposito di omosessualità e delle recenti vicende torinesi.

I profeti, almeno come la Scrittura ce li presenta, non sono mai stati campioni di diplomazia, persone dalla lingua sibillina, opinionisti dalle mezze verità. Non di rado, anche a costo della vita, si sono  fortemente esposti: forse perché a loro la vita non ha chiesto ciò che (forse) ha chiesto agli uomini di potere, chiamati sempre a contrattare, a negoziare, a tenere insieme pezzi che a volte insieme proprio non ci stanno. Eppure i potenti hanno bisogno dei profeti: sono antenne che intercettano il futuro, artisti capaci di scrutare l'ampiezza incontenibile del volto di Dio, del suo Amore liberante. Ci sono gesti profetici anche oggi, anche nell'esperienza ecclesiale cattolico-romana: profezie a volte mosse dallo stesso Papa che disegna profili di accoglienza e solidarietà tentando anche di allargare gli spazi di vita e di speranza a partire dalle condizioni reali dell'uomo contemporaneo; uomini e donne che rimarcano l'importanza di tornare all'essenziale della fede come tante esperienze monastiche insegnano; esperienze di famiglie dedite all'annuncio e al servizio in un modo così "totalitario" che con la loro esistenza mettono in dubbio una delle motivazioni "pratiche" tanto declinata per il celibato presbiterale, quella che del "tempo che non basterebbe".  E poi c'è un altro campo della profezia, quello di chi si dedica con passione all'accoglienza e all'annuncio del Vangelo alle persone e alle coppie omosessuali, gente ferita spesso dalla paura di un giudizio sociale che, nonostante le apparenze, resta molto ostile, gente ferita dalla stessa potenza anonima di una dottrina che continua a ritenere l'omosessualità un disordine oggettivo e - teoria vecchia nonchè scientificamente assurda ripresa dalla Congregazione per il Clero nel 2016 - un fattore che ostacola gravemente il corretto relazionarsi agli uomini e alle donne. Beh, con gli animali e le piante sembrano non ci siano appurate difficoltà. 




Venendo all'oggetto di questo post ho seguito, come tanti altri, le vicende del ritiro per persone omosessuali annullato, dopo malumori di taluni gruppi di fedeli, dal Vescovo Nosiglia e rinviato ad altra data.  Come mai un Pastore di una diocesi così importante, insieme a persone, preti, religiosi e laici che lavorano in quest'ambito di frontiera non hanno previamente considerato il sorgere di eventuali lamentele? E come mai hanno fatto marcia indietro? Se nel giusto perchè non hanno proseguito? Ecco, questo è il punto. Canonicamente, ufficialmente, dottrinalmente almeno che non si premetta con chiarezza la necessità della castità assoluta e di un orientamento sessuale che assume i tratti del sacrificio e della croce - giusto per essere chiari - si è fuori dalla dottrina ufficiale della Chiesa romana. A dispetto di ogni pronunciamento pontificio ad alta quota (il documento della Cogregazione del Clero è successivo al famoso "chi sono io per giudicare").

Ecco, vorrei dire con franchezza cosa penso. Penso che occorre smetterla di fingere che il problema sia l'approccio pastorale, il linguaggio spirituale, il rapporto con la grazia, ecc. ecc. Bisogna avere il coraggio di dire le cose come stanno. Di dire che la Chiesa ritiene l'omosessualità un disordine oggettivo. Punto. Senza repliche. Senza ambiguità. Senza un parlare sibilino.  L'ambiguità fa più male di una certezza spiacevole. E laddove si avesse davvero a cuore la vita di tanti ragazzi, giovani e adulti omosessuali, laddove,  contemplando il volto del Dio di Gesù di Nazareth, si leggesse  con fedeltà e competenza le Scritture che contengono senza esaurirla la sua Parola ci si trovasse con la coscienza posta dinanzi ad una "verità" diversa da quella del Magistero cattolico...cosa dovrebbe accadere?  Dovrebbe accadere che, rischiando critiche e richiami, nel nome di una profezia non negoziabile si pronunciasse quell'unica frase che potrebbe davvero sollevare e dar forza a questi fratelli e a queste sorelle: IO NON SONO D'ACCORDO
Non sono d'accordo con chi dice, ignorante delle scienze umane, che l'omosessualità è un grave ostacolo alla relazione. Non sono d'accordo ancor di più se si tratta di un membro dell'alto clero che in base a questa considerazione dovrebbe chiedere le dimissioni di un numero presumibilmente alto di preti, vescovi e colleghi di conclave. 
Non sono d'accordo sulla voyeuristica ossessione di chi vuol entrare costantemente nelle scelte sessuali degli altri come se la camera da letto  fosse il centro e il luogo più frequentato dal Vangelo che, per quanto ricordi, ce ne ha parlato ben poco. 
Non sono d'accordo con chi in nome di Dio pone pesi insopportabili e pesantissimi sulle spalle di tanta gente: penso alla difficoltà di tanti adolescenti, ragazzi, ragazze, giovani e adulti che interiorizzano dentro una paura enorme di Dio, un sentirsi sotto attacco, magari a causa anche di ciò che di simile è stato sperimentato in famiglia con i propri genitori. 
Non sono d'accordo con chi si arroga la verità sentenziando sulla vita delle persone e ritenendosi unici detentori di ciò che è giusto e sbagliato. E non sono d'accordo neanche con tutti questi incontri da ghetto: per omosessuali, per coppie omosessuali, per preti omosessuali. Incontri che alimentano spesso quel senso di vergogna, di segretezza, di timore di essere scoperti. Per carità immagino che abbiano fatto e facciano tanto bene ma sulla lunga non rendono giustizia alla causa di questi fratelli che sono feriti si, ma non a causa della loro condizione ma a causa del nostro giudizio malato così malato da considerarsi sacro e inviolabile, basato sulla legge del sacrificio inumano di se stessi. 
Non sono d'accordo. Ecco. L'ho detto. Se venisse oggi stesso da me una coppia di persone omosessuali, una coppia che cerca di vivere nella fedeltà come tutti, una coppia che come tutte le coppie sane non trova altra gioia se non quella di amare e lasciarsi amare, facendosi un pò di compagnia nel tragitto faticoso di questa vita...ecco se venisse oggi stesso da me questa coppia e mi chiedesse: "c'è qualcosa per noi omosessuali, tipo un incontro particolare"? Io mi arrabbierei e gli direi un secco e deciso...no! Gli direi forse così: amici, voglio conoscervi, stare con voi, magari leggere insieme una pagina di Vangelo ma solo per fare un pò di conoscenza, come faccio con tutti. Poi, per il resto, c'è la comunità. Non serve un percorso a parte. Non serve un'esperienza da ghetto. Serve stare insieme, con tutti, essendo liberamente ciò che si è e ringraziando Dio per questo. Certo, sapete ed è mio dovere dirvi cosa pensa una parte della Chiesa, il suo, così chiamato, Magistero. E su questo, amici miei, non posso far niente se non dir loro quello che dico a voi: non sono d'accordo". Poi li inviterei a tavola come tutti. Alla mia come a quella del Maestro. Pronto per un richiamo dai piani alti. Ma certo di aver strappato con la mia caparbietà tre sorrisi. Quello dei miei due  nuovi amici. E quello del mio Maestro e Signore.