domenica 20 agosto 2017

Confini. Elogio e critica.

I confini intrigano sempre. Muovono desideri. Generano idee e fantasie. A volte fanno sognare nella sicurezza del proprio tepore sedentario. Altre volte invece sono il motore del cammino, la spinta inquieta a non accontentarsi, a fare attenzione che le radici non divengano prigioni. 

I confini sono il segno sfocato e ambiguo che provoca paura in chi è chiuso nelle proprie certezze da difendere a tutti i costi e stimola un riaccendersi del primitivo nomadismo in chi è attraversato dall'inquieta e travagliata ricerca del bene, del vero, del bello.


I confini sono fatti per indurre a restare a casa quando è il tempo di sostare e non si è abbastanza pronti o forti per attraversare il pericolo e correre il rischio del cammino.
I confini sono fatti per essere attraversati quando il desiderio e l'inquietudine prendono in mano il timone e la bussola per la vita felice diviene l'unico punto di riferimento. 

I confini sono fatti per ricordarci che non esistono e che sono frutto di convenzioni di uomini, sempre bravi nel dividere, nel delimitare, nell'arte di creare sottoinsiemi. 
I confini sono fatti per rammentare ad ogni uomo che il suo percorso, pure se in eterno movimento, si svolge nella parte e mai nel tutto, e che la sua porzione di vita non sarà mai la totalità della vita, che le sue idee non saranno mai la verità assoluta ma stelle accese in uno spazio chiaro di un universo infinito.

I confini separano: il tempo, i luoghi, le idee. Anche le persone.

I confini non appartengono solo alla superficie ma anche anche all'animo umano, alla mente e al cuore: dentro di noi vi è un mondo molto più vasto del pianeta terra. E quanti confini vi abbiamo posto. In alcuni momenti sono diventati vere e proprie barriere: alcuni territori li abbiamo dimenticati del tutto, altri mai esplorati, altri contrastanti tra loro emergono attraverso eruzioni di ansia e sismi di fragilità. 

Quanti confini dentro e fuori di noi.

 Perfino il mondo del sapere è pieno di confini: specializzazione e iper specializzazione. Quando penso alla mia formazione a volte mi perdo in domande ironiche quanto reali.  Sei psicologo? Si. Ma di quale area? E in quell'area di quale orientamento? E in quell'orientamento a quale corrente? E in quella corrente a quale maestro fai riferimento?
I confini delle scienze e delle materie spesso corrono il rischio di dimenticare l'aristotelica verità per la quale il tutto è maggiore della somma delle parti.

  Perfino le filosofie e le teologie pretendono di mettere confini alla vita e al pensiero di Dio, per dare all'uomo il potere di essere interprete assoluto e certo del volere divino, diventando padrone nelle coscienze altrui, senza tuttavia esser padrone della propria.

I confini, dentro e fuori di noi servono. 
Per capire, studiare, indagare, muoversi e orientarsi.  

Ma sono sempre relativi allo spazio del vivere. 

I confini aiutano l'uomo a orientare la vita.

 La vita orienta l'uomo a superare i confini.

lunedì 14 agosto 2017

Orsi , migranti e uomo demens

Il  silenzio, l'ascolto, il riposo, il confronto mite con la creazione, l'incontro-scontro con la propria mente, quella che non va mai in vacanza, quella che non si spegne: tutto questo è "esercizio spirituale" di sopravvivenza, ribellione ad un sistema che ruba tempo e gioia ai giorni, atto spirituale necessario per restare umani. Umani, umano. Più che un punto di partenza, questo "status" culturale è una questione di lotta costante, conquista continua e mai scontata tale è il pericolo di regressioni culturali e spirituali. 

Sbirciando i giornali, tante notizie. Uccisa un'orsa in Trentino per aver aggredito un uomo. Altra notizia da toni gloriosi: "Primo giorno "zero migranti". Così l'Italia ferma l'invasione". 




Argomenti che c'entrano poco tra loro. Mondi diversi e sponde distanti queste news. Eppure il mio cervello, quello che non va mai in vacanza, ha già costruito un ponte, ai suoi occhi solido e reale.
Cosa unisce un'orso ammazzato nel suo territorio (in un periodo in cui un progetto per la salvaguardia delle biodiversità ne tutela il ripopolamento) ai festeggiamenti giornalistici per il primo giorno senza sbarchi sulle nostre coste da parte dei migranti provenienti dalla Libia? Cosa unisce paesaggi e contesti così distanti come i boschi del trentino e la spiaggia di Lampedusa?  
Un'idea a mio avviso pericolosissima: l'idea dell'uomo demens di essere il centro di tutto. Un assolutismo individualista che ci impedisce di ragionare, pensare, progettare e amare  su vasta scala. 

Cos'è la vita di un orso rispetto ad un gruppo di cittadini che si sente in pericolo? Per carità il pericolo va evitato e l'uomo difeso. Ma possibile che non c'erano altre vie come la cattura , la cattività o altri stratagemmi per difendere tutte le vite, quella dell'uomo come quella dell'orsa? Importa poco: noi siamo il centroid tutto, con prerogative di vita e di morte su tutti. Poi si parlerà di ecologia, ripopolaizione della specie ed altro. Questo lo si farà nei convegni e in TV. Ma quando si tratta di difendere un mio interesse: sono il centro e decido io. Creato, specie in estinzione, opinioni e metodi diverse per risolvere un problema di pericolo? Vada tutto a farsi fottere: sono il centro e decido io. Importa ció che vedo, sento e decido per difendermi da ciò che credo essere un pericolo: ragionamenti e pensieri vengono dopo! Eppure la capacità di pensare oltre l'istinto è ciò che ci rende umani...

Come per i migranti. Festeggiamo pure il primo giorno senza sbarchi: importa ció che vedo, sento e decido per difendermi da ciò che credo essere un pericolo, ragionamenti e pensieri vengono dopo! 

Viene dopo, molto dopo il pensare che si può risolvere un sintomo ma non la malattia. Tanto io, il centro, l'uomo dei consumi, vedo solo il sintomo (sbarchi e accoglienza) ma non la malattia (povertà, guerra, siccità, ingoistizie globali prodotte da nostro occidente, nuovi campi di concentramento aperti in Libia, come Domenico Quirico ha fortemente narrato in questi giorni). Ciò che importa all'uomo dei consumi è il proprio tornaconto immediato: nessuna solidarietà agli altri umani, nè quelli del presente nè quelli della generazione che verrà, e di solidarietà e di amore verso      le altre opere d'arte del Creatore...non ne parliamo proprio. Così pensa l'uomo dei consumi, quello che si sente il centro, l'uomo demens.

Dal canto mio non mi sento neanche il centro di me stesso, e credo che la fonte del mio vivere sia altrove...e la mia anima, il mio cervello non va in vacanza. E le emozioni non smettono di fluire. E la gioia del riposo, della spiritualità, della bellezza non anestetizzano neanche un poco la sofferenza. Per un orso abbattuto. Per migliaia di vite respinte. Destinate alla morte. Per i miei simili, ranger stupidi di un bosco meraviglioso e  pieno di risorse per tutti, guardaboschi a servizio dell'egoismo del potente di turno, che oggi come ieri, pensa solo a se stesso. 

domenica 13 agosto 2017

Fiducia discreta. Libere riflessioni su MT 14, 22-33 e 1 Re 19

Versetti densi, carichi di simbologia e sfumature, di significati esegetici eruditi ed altri più evidenti. Ciò che rimbalza dinanzi agli occhi è la poetica di Dio, fatta di pochissime didascalie e moltissime figure retoriche, da scrutare, indagare, interpretare, cogliere nella loro profondità. Non mi sto riferendo al modo in cui è scritta la Bibbia ma piuttosto al modo con cui l'Amore creatore comunica la propria energia di vita al cuore di ogni donna e di ogni uomo. Non sceglie vie impositive, rifiuta le strade dell'evidenza: Elia non può rintracciare i suoi passi nel vento impetuoso, nel fuoco, nel terremoto. 




E così Gesù sul mare caotico e complesso della vita umana non si erge come un faro dalla luce chiara, come una boa imponente, come un Poseidon forte e dominante. Decide piuttosto di seguire apparenze discrete. Addirittura fino a sembrare un fantasma. Sembra quasi che il segreto per riconoscerlo sia presente più negli occhi di chi lo guarda che nella sua forza: così ad Emmaus, così sul lago dopo la resurrezione, così nel Cenacolo. Dio decide di essere con noi in questa navigazione ardua e a volte tempestosa che è la vita attraverso la via della discrezione, della non evidenza, con sembianze più da artista di strada che da grande pittore di cattedrali. Pare che a lui interessi più il nostro desiderio di ricercarlo che di possederlo, più la nostra capacità di fidarci che quella di essere sicuri. Fidarsi significa infatti imparar a camminare sul mare, non indietreggiare per la liquidità dei pavimenti su cui è facile inciampare annegando nel proprio errore. Fidarsi vuol dire non prestare attenzione ai venti che si agitano perché non è in essi che si decide il nostro destino ultimo. Fidarsi vuol dire volgere lo sguardo ad una presenza discreta, quasi fantasmatica ma più reale di tante evidenze. È questa fiducia che consente di non annegare tra i mulinelli di questo mare che è la nostra esistenza. Fiducia in un sussurro di  brezza leggera, in un Uomo discreto che reca in sè la sorgente della Vita, quella che non viene meno, quella che non delude. 

venerdì 4 agosto 2017

Volti di sole. Libere riflessioni su Mt 17, 1-9

"Se vuoi farò qui tre capanne. Per te, Mosè, Elia". Nel linguaggio simbolico ebraico, facilmente comprensibile per la comunità a cuil'evangelista Matteo si rivolge, la persona più importante in elenco è quella che sta al centro. In questo episodio della trasfigurazione nell'elenco di Pietro al centro non vi è Gesù ma Mosè. L'apostolo testardo fa fatica a comprendere la novità di Gesù,  vuole che il Maestro sia a servizio dei suoi criteri, dei suoi schemi, dell'immagine di Messia potente e impetuoso a cui lui si rifaceva (proprio per questo poco prima aveva ricevuto da Gesù stesso l'appellativo di Satana). Ma il Padre è chiaro: questi è il mio figlio, l'amato. È in lui, nel suo modo di agire, di parlare, di vivere, di toccare, di guarire, di perdonare, di ringraziare, di morire, di risorgere....è solo in lui che il volto del Padre appare chiaro, autentico. È attraverso la sua voce che si rende possibile il raccontarsi di Dio. Eppure la scena si conclude senza sfarzi, trombe e schiere di angeli. Si conclude con l'immagine di un uomo solo. Gesù solo. 
Ancora una volta l'evangelo ci invita a metterci in discussione, a rivedere con forza la nostra immagine di Dio. Ad amare la ricerca piuttosto che la verità preconfezionata, l'inquietudine del discepolato piuttosto che la sicurezza delle cattedre. 





La condizione divina, immortale, creatrice passa attraverso l'umanità di Gesù di Nazareth. Volgere lo sguardo al suo volto solare, rintracciare nel suo percorso il volere chiaro del Padre, accogliere il suo comandamento nuovo centrato sull'amore reciproco significa permettere alla nostra umanità di trasfigurarsi, di mostrare il senso profondo dell'essere al mondo, di dichiarare la nostra origine "controllata", doc: quella di figli di Dio.  È l'amore che trasfigura l'umano di Gesù. È l'amore che può trasfigurare ognuno di noi. È l'amore che trasfigura ai nostri occhi coloro a cui teniamo, seppure imperfetti e fragili, e a cui riusciamo a dire, tra lo scherzo e il serio, canticchiando e sorridendo, "o sole mio sta in fronte a te". 

Libertà e colori

Ascolto molte storie ogni giorno. In primis cerco di ascoltare la mia. In tutte rintraccio, anche dietro appetenti percorsi tortuosi, dolori sconvolgenti, frivolezze d'altri tempi, un impetuoso desiderio di libertà. L'anelito ancestrale e primitivo ad essere persone libere. Libere dagli schemi sociali ingabbianti. Libere dal giudizio moralistico dell'inquisitore di turno. Libere dal chiacchiericcio che muove il sottobosco di lingue e linguaccie genuine, sempre di origine incontrollata.  
Dietro questo desiderio di libertà vedo il muoversi sotterraneo di uno spirito di autenticità, di una voglia grande di essere se stessi non "nonostante" ma a partire dalle proprie fragilità, che a volte sono più  forti e potenti di ciò che  da sicurezza. 
In fondo la fragilità è la dimensione fondante dell'amore: non solo l'amore è un sentimento fragile ma è autentico solo quando passa la prova della fragilità dell'amata, dell'amato. Senza questa prova l'amore è solo per se stessi, variante di un narcisismo malato: e quanti malati ci sono in giro! 




In questi tempi epocali, in cui nuovi paradigmi antropologici si affacciano all'orizzonte, dovremmo imparare a ragionare a partire dai desideri di libertà e autenticità. A non demonizzarli ma a leggere in essi il volto di un tessuto umano che non vuole celarsi: forse scopriremo che non esiste il bianco e il nero ma un'infinità schiera di colori, a volte in armonia a volte incastrati a forza con logiche di compromessi  ma in ogni caso tutti e sempre cittadini del cuore dell'uomo reale.