sabato 1 aprile 2017

Ombre e cura dell'anima

I collegamenti nascono spontanei. Come le libere associazioni della psicanalisi. E hanno sempre un senso: qual è il comune denominatore che mette sotto lo stesso tetto un articolo in cui si parla di "bambini DOP" e una cronaca che racconta di giovani omicidi resi tali da un "raptus di follia"? Cosa tiene in coppia la "pazzia del branco" e un disturbo antisociale di un trentenne? Credo che la risposta risieda nella costante tentazione di ignorare una profonda verità: siamo pozzi di luce e di ombra e la tenebra della fragilità e ci abita perennemente, a prescindere dalla consapevolezza che ne abbiamo. Il mondo si divide in chi accetta questa realtà, imparando ad affrontarla, gestirla, a volte risolverla e chi finge che non esista, per poi battersi ogni giorno con le sue conseguenze. In un tempo in cui l'iperspecializzazione delle discipline e la fiducia nella tecnica ispirano proiezioni ottimistiche pronte a sciogliersi come le ali di Icaro ci giriamo continuamente dall'altra parte, pur di non vedere la fragilità accanto e dentro di noi. E chi rinnega la fragilità dimentica la cura della propria e altrui ombra, preparando un eruzione la cui tipologia non è prevedibile. Chi ignora la dinamica dell'ombra ignora il pericolo. Chi ignora il pericolo tralascianla cura. Chi ignora ombra, pericolo e cura ha bisogno di un'etichetta capace di dare un senso alla fragilità, relegandola in un angolo della società che non tocca il mondo dei "normali". Ecco che non esiste disagio, dolore e ombra ma malattie, disturbi, raptus di follia. Ma attenzione: tutti siamo potenziali omicidi, tutti possibili disturbati. E non basteranno etichette psichiatriche e diagnosi cognitivo-comportamentali per risolvere la questione. Nonno Freud su questo non ha mentito: è ciò che nom sappiamo di noi che spesso ci guida e non guardare quest'ombra è il più grande pericolo per l'uomo di ogni tempo e di ogni luogo. 


 

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