sabato 8 aprile 2017

Lingue da discepoli, orecchi attenti, cuori capaci di amore.

"Una lingua da discepolo...un orecchio attento". Così inizia il deutero Isaia il Terzo (Is 50,4) canto del Servo del Signore, terza poesia mistica di quattro poemi che cantano di un personaggio misterioso, un uomo o un popolo fedele a Dio che avrebbe avuto un ruolo decisivo per la storia di Israele e dell'umanità intera. La tradizione cristiana ha voluto scorgere in queste righe così dense di immagini artistiche e misteriose il volto di Gesù, la sua pacifica volontà di condividere con gli uomini un progetto di amore che gli sarebbe costato addirittura la vita. "Una lingua da discepolo....un orecchio attento". Ecco come inizia la liturgia della Parola di questa domenica, profumata di ulivo, colorata di sangue. E non solo per i colori liturgici che rimandano al sangue innocente di Gesù ma perché immagini, minacce e fantasmi di morte addensano ancora una volta gli schermi piatti dei nostri smartphone e delle nostre televisioni. Pensando alla giornata di ieri, mi incuriosisce il fatto che subito dopo un attentato, un attacco, un bombardamento escono fuori come talpe esperti, scienziati, specialisti e conoscitori della storia pronti a fare previsioni esatte e a svelare inedite motivazioni che porteranno allo scenario previsto. Ciò che  mi colpisce è la freddezza, il distacco ma soprattutto la sicurezza saccente di chi sa il perché, il come e il quando dell'evolversi della storia dei popoli e delle scelte degli individui. Gente che crede di sapere tutto. 

Io invece mi accorgo di non capire nulla e di non sapere niente. E mi sforzo di tacere quando non so, di proferire dati di cui sono almeno un pò certo e soprattutto di essere attento a quello che mi accade dentro e intorno per imparare ad essere migliore. Per essere solidale all'umanità che mi abita e che abita gli umani come me. E scopro che questo è stato l'atteggiamento del Maestro itinerante di Nazareth: la sua è stata una lingua da discepolo, un orecchio attento (Gv, 15, 15). Non ha mai mostrato la saccenza di chi conosce ogni cosa ma si è sempre messo in ascolto della vita degli uomini, sapendo che in quella vita una mente aperta e un cuore libero avrebbero saputo rintracciare la voce dell'Amore sorgivo e creatore, le tracce benevole e tenere del Padre. Ha guarito, sanato, beneficato, rimesso in piedi, incluso, perdonato, amato


Gesù, figlio di Dio, figlio dell'Uomo ha deciso di ascoltare sempre l'Amore, divenendone non il possessore unico ma il discepolo perfetto, condividendo l'Amore  che riceveva ogni giorno dal Padre, un Amore che non custodì per se con gelosia (Fil 2, 6) ma che imparò a condividere con tutti, nessuno escluso. Il dono della sua vita è il segno più alto di questa condivisione di amore che ha imparato dal Padre. E forse la forma più grande di conoscenza che un essere umano potesse avere degli altri essere umani. Perché in fondo conosce solo chi ama e mai l'amore è disgiunto dalla conoscenza.

Insomma, credo che anche in questi giorni di sangue abbiamo bisogno di gente che rinunci a credersi Dio, che impari l'umiltà del discepolato, mettendosi in ascolto della vita, comprendendo che guerra, violenza, crisi economiche e di altro tipo non nascono come i cavoli, né vengono da marte ma hanno la loro genesi nel cuore dell'uomo. Un cuore malato e senza amore. Nessun esperto, giornalista o politico, plurilaureato o stratega  guarirà mai questo cuore con la sola sua scienza. 

Per guarire il cuore dell'uomo bisogna conoscerlo e per conoscerlo bisogna amarloE la prova dell'amore è la capacità di donare la vita. Questo mondo avrà futuro se ci sarà gente dall'orecchio attento, dalla lingua umile e dal cuore amante. 
Gente capace di dono vero.  Come Gesù. 

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